Aggelos: la recensione

È molto importante che ad un grande amore per un classico del passato venga affiancato un design all’altezza dei tempi moderni; è il caso di Aggelos?

 

 

Spesso si dibatte sulla necessità di tornare dove si è stati bene, e la discussione è valida tanto per i luoghi fisici quanto per quelli del cuore. I primi sono soggetti ai naturali cambiamenti imposti dal tempo, i secondi mutano con l’umore e con la distanza che ne prendiamo. Ed allora rivisitare esperienze di gioco ormai lontane trent’anni e più sembra un esercizio di memoria, come quando si prova a ricordare il testo di una canzone senza cercarlo sul telefonino e si finisce per cambiare alcune parole, mantenendo la metrica intatta ma perdendo per strada parte del senso che l’autore originale voleva dare al suo lavoro.

 

 

Se non fosse già lampante dalle immagini di gioco, l’ispirazione di Aggelos diventa esplicita nel nome d’arte del suo creatore, Wonderboy Bobi. Ed è proprio alla celebre saga di Westone che si ispira questo titolo del 2018, portato sulle principali piattaforme digitali malgrado la concorrenza dei capitoli ufficiali, sia sottoforma di remake (Dragon’s Trap) che di seguito apocrifo (Monster Boy and the Cursed Kingdom). Non è ben chiaro se l’autore abbia cercato di trasporre le sue esperienze di giocatore bambino o se invece si sia spinto nell’ardua impresa di rielaborare il canovaccio in forma moderna, ma il risultato finale mette in luce il suo grande amore per una serie spesso messa in secondo piano, eppure amata da tanti.

 

 

La trama, scarna e dichiaratamente banale, vede l’eroe di turno salvare per caso una principessa dalle grinfie di un mostro. Accompagnato al castello, viene ringraziato… affidandogli un compito ben più arduo, quello di proteggere le terre circostanti dall’arrivo dei cattivi, intenti a farsi largo attraverso squarci interdimensionali. Niente di nuovo insomma, ma si parla pur sempre di una reinterpretazione, e l’opera originale non brillava certo in questo senso. Tutti gli sforzi nel creare Aggelos sono stati invece focalizzati sulla struttura, che mantiene la stessa dose di azione mirata al combattimento ed all’esplorazione, con abilità sbloccabili durante l’avventura che aprono scenari precedentemente inaccessibili. Sarebbe eretico utilizzare il noto termine nato dalla fusione di due titoli Nintendo e Konami, anche perché il caro vecchio Wonderboy in Monsterland ne precede il conio di quasi un decennio.

 

 

Quello che però lascia perplessi, qualunque fosse l’intenzione iniziale nel concepire Aggelos, sono alcune scelte che hanno importanza cruciale per il risultato. In primis, la difficoltà di alcuni punti: non è raro pensare alla propria infanzia e struggersi per quanto fosse difficile il proprio gioco preferito, salvo poi riprenderlo in età adulta e realizzare che l’ostacolo più grande fosse rappresentato dall’inesperienza e dalla giovane età. Qui si ha la sensazione che il programmatore stia proponendo un livello di sfida di ben diversa taratura. Non siamo di fronte ad un’impresa impossibile, sia chiaro, ma l’assenza dello scudo tra gli elementi equipaggiabili, la scarsità di cuori rilasciati dai nemici sconfitti e la mancanza di punti in cui salvare la partita nelle aree più impegnative mal si sposa con l’epoca attuale, e ancor meno col pubblico a cui il gioco è indirizzato, quello nostalgico che non ha ormai più pomeriggi interi da dedicare ad un singolo livello.

 

 

D’altro canto, se ci si dota di grande pazienza, si può tentare un approccio molto più lento e riflessivo, che si traduce nello sconfiggere ogni creatura con un colpo alla volta, stando sulla difensiva e sfruttando gli attacchi magici; questi in Aggelos sono disponibili tramite una barra ricaricabile con ogni colpo d’arma bianca andato a segno. Però è lecito chiedersi se valga la pena di sacrificare una giocabilità che per sua natura invoglia a adoperare una tattica molto più aggressiva, che in alcuni casi diventa rischiosa anche esplorando le primissime aree, dove si incontrano avversari meno resistenti ma dai movimenti insidiosissimi. Conseguentemente, non convince neanche la scelta di rendere il teletrasporto del tutto opzionale, dal momento che l’area di gioco richiede spesso delle deviazioni alla lunga ripetitive, forse per compensare una mappa grande ma non enorme.

 

 

È un peccato dover elencare dei difetti evidenti in un prodotto che dalla sua ha anche parecchi lati positivi: quello audiovisivo, chiaramente di rimando agli anni ’80 ma anche molto pulito ed efficace, oppure le ottime trovate come la diversificazione delle armi a seconda dell’ambiente circostante ed alcune missioni secondarie che spezzano il ritmo serrato delle fasi di puro combattimento e sono realizzate con un certo gusto. La quantità di puzzle da risolvere nei vari templi non è eccessiva, e la loro difficoltà non aggiunge ulteriore frustrazione, mettendo alla prova più i riflessi che le capacità cognitive del giocatore. E per gli appassionati dell’esplorazione ci sono anche parecchi segreti da trovare, alcuni dei quali (come il già citato teletrasporto) molto importanti per grattare via un po’ della durezza di certe fasi.

 

 

Aggelos è, in poche parole, il frutto di un grande amore d’infanzia per Wonderboy. Purtroppo, per proporsi in un mercato come quello odierno, serve prendere una direzione decisa: le improvvise impennate di difficoltà e la necessità di ripetere spesso dei passaggi frustranti viaggiano decisamente contromano rispetto ad una bella presentazione e delle buone idee, e la sensazione finale è che con una serie di piccoli accorgimenti Aggelos avrebbe potuto essere accostato alle sue fonti di ispirazione nel gotha del genere. Così com’è, invece, è un’esperienza di circa dodici ore che piacerà senza dubbio a chi vuole una sfida bella tosta e non ha paura di ripetere molte volte gli stessi livelli, ma probabilmente verrà abbandonata dal giocatore che si lascia prendere facilmente dallo scoramento.

 

Aggelos, 2018
Voto: 7
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