Anche l’Australia si riarma

Il Paese oceanico ha avviato un programma di corsa agli armamenti con l’obiettivo di contenere l’espansionismo cinese nell’area del Pacifico.

 

 

Il dibattito sul riarmo europeo scaturito dal progetto ReArm Europe di Ursula Von der Leyen rientra in un processo ben più ampio che non coinvolge solamente i Paesi prossimi al fronte tra Ucraina e Russia; è il caso ad esempio dell’Australia, che ha recentemente annunciato un piano di incremento degli armamenti come fatto da Bruxelles.

Dal bilancio federale dello Stato australiano sono stati stanziati oltre seicento milioni di dollari statunitensi per l’approvvigionamento di armi e mezzi con l’obiettivo di rafforzare la propria potenza e la propria deterrenza nel contesto dell’Oceano Pacifico. Mentre l’Europa guarda alla vicina Russia, Canberra, in concerto con l’alleato USA, ambisce a porre un freno alla politica espansionistica cinese nell’area dell’Indo-Pacifico.

Una buona fetta di fondi sarà impegnata all’interno del patto AUKUS, un accordo trilaterale siglato nel 2021 tra Australia, USA e Regno Unito che ha l’obiettivo di fornire al Paese oceanico sottomarini a propulsione nucleare; nel 2027 è prevista la presenza di fino a quattro sottomarini di questo tipo nel porto HMAS Stirling di Garden Island, la principale base navale australiana. Oltre a questi mezzi a propulsione nucleare, è previsto un pattugliamento congiunto dell’area dei tre alleati in funzione anti-cinese.

L’Esercito ha già iniziato da tempo questo processo di riarmo: lo scorso 24 marzo l’Australia ha ricevuto infatti i primi due lanciatori HIMARS (High Mobility Artillery Rocket Systems) di un ordine di ben quarantadue unità; queste dotazioni, viste recentemente in azione nel contesto ucraino, forniscono capacità di attacco a lungo raggio grazie a munizioni che consentono di centrare obiettivi a distanze superiori ai cinquecento chilometri.

 

 

Canberra è stimolata in questo suo progetto da diversi fronti, con bisogni simili a quelli europei. La vicinanza di un nemico avvertito come pericolo esistenziale e la nuova politica statunitense di disingaggio materiale nei confronti degli alleati hanno portato il Governo australiano, così come Bruxelles, ad intraprendere un percorso votato all’autosufficienza in ambito militare.
Il duello tra USA e Cina nel contesto dell’Asia-Pacifico sta prendendo sempre più le sembianze di uno scontro armato, con una tensione sempre più crescente su zone che rientrano nell’area di interesse australiana.

Nel documento programmatico biennale sulla strategia di difesa nazionale australiana si evince come l’obiettivo del Paese sia quello di non rimanere schiacciato dalla pressione militare cinese; la difesa di un commercio marittimo libero nell’area de Pacifico è un punto fondamentale della strategia dell’Australia, aspetto presente in maniera esplicita anche nella National Security Strategy degli Stati Uniti.

I progetti di riarmo australiani rischiano di essere percepiti in maniera ostile dalla Cina, che ha già dimostrato di non temere l’uso della forza contro le potenze regionali a lei ostili. L’ago della bilancia sarà la capacità di tutti gli attori in causa di bilanciare le proprie necessità di sicurezza e la volontà di evitare uno scontro aperto. Finché gli USA saranno impegnati sul fronte europeo e mediorientale si presume che l’escalation in ambito Indo-Pacifico non possa trovare motivi di innesco; la volontà sempre più palese dell’Amministrazione Trump di chiudere velocemente gli scenari di conflitto nell’emisfero boreale fanno però presagire uno scontro in Asia nel breve o medio termine, con l’Australia pronta a giocare un ruolo centrale nella strategia dell’alleato USA.

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