Andrea Dovizioso, un campione senza vittoria

Il pilota di Forlimpopoli è il più grante talento incompiuto degli ultimi venti anni. Un pilota eccezionale a cui purtroppo è mancata la consacrazione.

 

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Quest’anno la MotoGP per me avrà un sapore diverso. Dai tempi in cui correva in 125, Andrea Dovizioso è il mio pilota preferito nell’ambito del Motomondiale (in Superbike impazzivo per Bayliss e Haga, ma ormai parliamo di preistoria); non vederlo in pista sarà stranissimo. E triste, visto il modo in cui è terminata la sua carriera.

A 34 anni, nessuno crede che il 2021 possa essere un anno sabbatico: scegliere di abbandonare la Ducati a metà stagione, con tutte le selle delle scuderie migliori già occupate, significa dire addio al Motomondiale. Per Andrea deve essere stata una decisione soffertissima, figlia di anni di ingiustizie all’interno della scuderia italiana.

Andrea Dovizioso è sempre stato un professionista. Silenzioso, concentrato, attento ai dettagli. Raramente lo abbiamo visto dare in escandescenza e sbottare, anche quando la sfortuna o i compagni di squadra gli hanno impedito di tagliare il traguardo; ed è uno che ha sempre preferito portare risultati piuttosto che fare la prima donna. Ma forse questo nel circus iridato non paga.
Quello che conta è arrivare primo.

 

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Durante la sua lunga carriera, il Dovi ha vinto un solo mondiale, quello in 125 nel 2004. Nei tre anni di permanenza in 250 ha terminato le stagioni due volte secondo e una volta terzo, vincendo quattro gare. In tredici anni di MotoGP ha chiuso tre stagioni al secondo posto ed una al terzo, vincendo complessivamente 15 gare.

Questi numeri sono impietosi. Cosa è mancato a Dovizioso?
Andrea approda in MotoGP nel 2008, in sella alla Honda a cui era rimasto fedele negli anni della 125 e della 250, quando l’Aprilia faceva man bassa di vittorie nelle classi minori. Per lui sarebbe stato facilissimo trovare una scuderia di vertice dotata della moto italiana, capace di staccare notevolmente in rettilineo le Honda; ma il professionista in lui aveva deciso di lavorare per il futuro, garantendosi un posto in MotoGP con la due ruote più performante. Solo che nel 2008 le moto giuste per tentare di vincere il mondiale sono la Yamaha di Valentino Rossi e la Ducati di Casey Stoner. I già esperti Pedrosa e Lorenzo, entrambi in sella a moto ufficiali, e con i quali aveva battagliato nelle categorie minori, non fanno molto meglio di lui, ed alla fine della stagione si piazza quinto in classifica guidando una Honda del Team Scot.

 

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Nei tre anni successivi Dovizioso non dimostra il suo potenziale. Passato al team interno Honda, arriva sesto, quinto e terzo dietro le Yamaha (inarrivabili) ma anche dietro a Pedrosa nel 2010 e 2011 e a Stoner nel 2012, l’anno in cui Honda schiera tre moto (e finalmente il Dovi mette dietro lo spagnolo), ottenendo una sola vittoria.
La Honda lo scarta, e dopo un anno con la Yamaha Tech 3 (quarto a fine stagione) approda finalmente alla scuderia che segnerà la sua carriera nel bene e nel male: la Ducati.

Dal 2007, la Ducati è stata una moto di esclusiva proprietà di Sua Maestà Casey Stoner, l’unico in grado di domarla e portarla a vincere. Gli altri piloti vengono fatti a pezzi dal mostro di Borgo Panigale: la Desmosedici tritura piloti di secondo piano come Marco Melandri e Nicky Hayden (vincitore del mondiale 2006 soprattutto per demeriti altrui) ma soprattutto di Valentino Rossi, che aveva risollevato le sorti della Yamaha grazie al suo talento e al suo sviluppo e che in due anni in rosso colleziona solo tre podi.

Nel 2013 la Desmosedici è una moto da rifare. È dal 2010, l’ultimo anno di Stoner, che la Ducati fa costantemente cilecca. Lenta, goffa, pesante nei movimenti, è una moto tutt’altro che competitiva. Dovizioso guida lo sviluppo, dovendo tenere a bada la rivalità interna di Andrea Iannone, pilota sui generis dagli atteggiamenti discutibili che in pista metterà in pericolo l’incolumità del Dovi a più riprese. Nel 2016 peraltro la sfortuna si accanisce su Dovizioso: si ritira ben cinque volte a causa di incidenti di cui è vittima incolpevole (una costante anche negli anni a venire) e rotture meccaniche. Però la moto c’è e anche Andrea ha fatto passi da gigante; solo che la Ducati ritiene il Dovi un comprimario. Lo conferma per la stagione successiva solo dopo l’ultima gara, tenendo i due piloti sulle spine fino all’ultimo, e gli affianca Jorge Lorenzo.

 

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Lorenzo non combina nulla di buono, e Dovizioso è l’unico a portare punti a casa, ma non gli vengono riconosciuti i suoi meriti. Qui inizia la fine del rapporto con Ducati: una scuderia che non ha prodotto una moto eccezionale e che tratta i suoi piloti in modo non eccellente non motiva di certo chi tira avanti la carretta. Lo schema si ripeterà, a grandi linee, due anni dopo, dopo che il Dovi avrà lottato per il mondiale fino all’ultima gara contro Marc Marquez, unico nel circus a porre un argine concreto al fenomeno spagnolo, mentre Jorge Lorenzo continua, similarmente a Valentino Rossi qualche anno prima, ad essere incapace di guidare la Desmosedici, collezionando brutte figure una dopo l’altra.

Al momento di rinnovare il contratto, Ducati non offre a Dovizioso quanto l’italiano giustamente si aspetta: dopo aver strapazzato Rossi e Lorenzo, coperti d’oro dalla scuderia italiana, ed essere stato l’unico a riuscire a contrapporsi a Marquez, un trattamento di riguardo sarebbe stato d’obbligo. E invece no; la vicenda non passa sotto silenzio, e anche se Dovizioso non ne fa un dramma pubblico è evidente come la cosa crei una frattura tra il pilota e la scuderia, soprattutto nei confronti di Luigi Dall’Igna, Direttore Corse e uomo forte all’interno del box Ducati.

 

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Il 2019 e soprattutto il 2020 sono gli anni in cui il rapporto fra i due collassa; l’atmosfera si fa pesantissima, tanto che come detto a metà della scorsa stagione Dovizioso annuncia di abbandonare la Ducati con la scuderia italiana che la tira per le lunghe sul rinnovo di contratto, senza un vero confronto fra le parti, e anche se le altre scuderie del motomondiale hanno già scelto i loro piloti. Dopo la decisione i risultati in pista vengono meno, causa la stanchezza e la voglia di staccare immediatamente la spina. Dovizioso chiude quarto un campionato che senza Marquez avrebbe potuto probabilmente vincere, ma questo ormai è un capitolo chiuso. È andata come è andata.

Dovizioso è stato un pilota che non ha ottenuto quanto avrebbe forse meritato, ma che ha saputo sicuramente incantare. Italiano su una moto italiana, l’unico ad impensierire seriamente Marc Marquez ribattendogli colpo su colpo (specialmente nella memorabile stagione 2017); un raro esempio di professionalità e riservatezza, doti non comuni nel circus iridato; di silenziosità e di concretezza. Ed anche di onestà, forse troppa. Proprio queste sue doti umane forse sono alla base di quell’assenza di un pizzico di cattiveria e arroganza che a volte in ambito sportivo fanno la differenza. Ne sono testimoni eccellenti i già citati Valentino Rossi e Marc Marquez, che se avessero avuto un carattere più mite forse non avrebbero conseguito quegli incredibili risultati che sappiamo.

 

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Dovizioso se ne va così dal motomondiale, in silenzio, senza strilli o dichiarazioni roboanti. Se ne va allo stesso modo in cui se n’era andato Stoner, disamorato da certi comportamenti al punto di mollare tutto. E non è un caso che proprio il pilota australiano non abbia risparmiato elogi e comprensione nei confronti di Dovizioso, perchè la situazione l’ha vissuta anche lui (e come lui ha tenuto sotto silenzio per tanto tempo la difficile vita in Ducati).

Quest’anno ci sarà un vuoto senza Dovizioso. Le sue gare in rimonta, partendo dietro e scalando posizioni; i suoi duelli al vertice, con quei sorpassi pazzeschi che non si sa come facesse a tenere in piedi la moto; il suo tono sommesso, lo sguardo serio, concentrato, il suo dare tutto mantenendo allo stesso tempo la razionalità; i risultati mancati, il sapere che pure quest’anno non si vince, il non riuscire ad avere quello che si merita. Tutte cose che non ci saranno più.

Ci sono campioni che trascinano folle, sono onnipresenti, che mettono la loro faccia su ogni copertina possibile. E poi ci sono i campioni umili, che lavorano meticolosi su se stessi e lottano contro tutto e tutti. Quelli per cui tifi non perchè sono dei vincenti, ma perche sono degli Uomini con la U maiuscola.

Ciao Andrea, e grazie per tutte le emozioni che mi hai regalato in pista. Mi mancherai.

 

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