A sedici anni di distanza, Bioshock sa ancora imporsi come un FPS adrenalinico, ricco di storia ed in grado di ammaliare con la sua atmosfera.
Gli FPS che per innovazione, realizzazione e fascino hanno fatto la storia dei videogiochi si possono contare sulla punta delle dita. Doom, Half-Life, Halo, Stalker; titoli immortali che hanno saputo plasmare i giocatori, imprimere nel mondo dei videogames cambiamenti radicali e definire standard di gioco tuttora validi.
Rispetto a loro, Bioshock non sfigura. Forse tra i più giovani il titolo uscito nel 2007 non è riuscito ad occupare un posto accanto ai mostri sacri citati sopra menzionati, ma il gioco di Irrational Games ha saputo lasciare una fortissima traccia nel mondo dei videogiochi.
Bioshock racconta in modo superbo un mondo fantastico e al contempo verosimile nel quale è facile calarsi. Ambientato in una città sottomarina che sta lentamente andando in sfacelo, Bioshock ci svela piano piano una storia fra le più interessanti mai portate in campo videoludico. Il gioco infatti, pur rimanendo un FPS puro e semplice, tocca tematiche di utopismo sociale e di bioingegneria calate in un ambiente visionario ed estremamente affascinante.
Bioshock si sviluppa su livelli lineari, che pur concedendo un minimo di libertà di movimento ci indirizzano su binari prestabiliti. L’esplorazione ci porta a scoprire luoghi molto ben caratterizzati e dalla realizzazione estremamente curata; gli ambienti di gioco sono vivi, caldi, dettagliatissimi e rispondenti ad una veridicità architettonica che lascia basiti.
Ma non è solo l’aspetto grafico nel suo complesso a stupire; i combattimenti, cuore del gioco, ci mettono sempre sulle spine grazie ad una AI assolutamente in grado di aggirarci, lanciarci esplosivi per stanarci e che fondamentalmente si pone come un antagonista valido (anche se ovviamente, come in tutti i giochi single player, è tutt’altro che imbattibile). Ai livelli di difficoltà più elevati non è raro morire e dover ricaricare l’ultimo salvataggio; non esistono checkpoint che ci obblighino a ricominciare in determinati punti (fortunatamente), così starà a noi scegliere (ricordarsi) quando salvare. Esistono anche delle “camere della vita”, che in pratica ci fanno respawnare in determinati punti del livello quando moriamo, ma il suggerimento è quello di disattivarle per evitare di perdere la tensione derivata dal rischio di essere fatti a pezzi dai nemici.
A nostra disposizione, oltre un arsenale di armi verosimili e variamente potenziabili, ci sono i plasmidi: sostanze che trasformano la nostra biologia permettendoci di manipolare la materia e che ci faranno creare la classica palla di fuoco, o una scarica elettrica o scagliare violentemente oggetti, tanto per citare i primi che si possono reperire.
Ed ancora, l’atmosfera complessiva è pazzescamente solida; i vari ambienti che andremo ad esplorare sono stupefacenti e assolutamente azzeccati. Fra le caratteristiche uniche di Bioshock non possiamo non citare i Big Daddy, uomini modificati che sono enormi e resistentissimi ai nostri colpi e che scortano le Sorelline, bambine che con macabra abilità estraggono materiale biologico dai cadaveri. Il binomio Big Daddy-Sorelline ha segnato uno degli aspetti più controversi di quegli anni, nei quali il politcally correct non era ancora totalmente imperante ed era possible sperimentare e portare sullo schermo situazioni in grado di colpire alla bocca dello stomaco il videogiocatore.
Tutto Bioshock è pervaso da un senso cupo di decadenza, di marcio e di sbagliato; ed è un senso che si sposa perfettamente con la tecnologia di cui dispone Rapture, la città sottomarina dove si svolge il gioco; la presenza di torrette difensive, di robottini volanti dotati di mitragliatrici e di serrature, tutte hackerabili e a volte utilizzabili a nostro favore rende il gameplay vario e dalle molteplici sfaccettature.
Le conversazioni fatte dai nemici, che possiamo ascoltare rimanendo nascosti alla loro vista, o i combattimenti che non ci coinvolgono e che possono prendere luogo talvolta fra diverse fazioni possono ricordare molto alla lontana quanto abbiamo visto in Stalker; ma anche se si tratta di situazioni limite e rare aiutano a rendere speciale Bioshock.
Inizialmente Bioshock doveva essere molto più orrorifico, con mostri deformi che non ricordavano più gli esseri umani; la cosa probabilmente avrebbe creato un gioco molto più simile a Dead Space (uscito l’anno seguente) e che avrebbe ricordato un classico della cinematografia come La Cosa. Permettendo invece agli abitanti di Rapture di mantenere parte della loro umanità, Bioshock crea un mondo per alcune dinamiche molto simile al nostro, cosa che rende assolutamente immersiva l’esperienza di gioco.
A Bioshock hanno fatto seguito due capitoli: Bioshock 2, che ci vede impersonare direttamente un Big Daddy e che pur rimanendo un discreto FPS non raggiunge gli apici del primo capitolo, e l’evitabile Bioshock Infinite, dalla grafica e dall’ambientazione sicuramente suggestiva ma che soffre di fasi di combattimento non eccezionali e per di più diluite in una storia zeppa di pretenziosi stereotipi contro l’uomo bianco cattivo.
Il primo Bioshock è uno di quei giochi da non lasciarsi scappare, ed anche se il suo comparto grafico mostra ormai qualche segno di cedimento (sono pur passati sedici anni dalla sua pubblicazione!) il gameplay solidissimo e l’atmosfera unica lo rendono uno di quei titoli da provare assolutamente.