Bonus Donne 2025: cos’è e come funziona

Dal 16 maggio via libera al Bonus Donne 2025: un incentivo fiscale per l’assunzione di lavoratrici svantaggiate di tutta Italia.

 

 

Il Bonus Donne è un incentivo all’assunzione previsto dalla normativa italiana per favorire l’occupazione femminile, in particolare nelle aree geografiche o nei settori in cui questa è storicamente più bassa o soggetta a discriminazioni.
L’incentivo prevede uno sgravio contributivo del 100%, per un periodo massimo di due anni, per i datori di lavoro privati che assumano lavoratrici svantaggiate entro la fine del 2025, con contratto a tempo indeterminato. Sarà quindi lo Stato a farsi carico della contribuzione INPS normalmente dovuta dal datore di lavoro; fanno eccezione i premi e i contributi dovuti all’INAIL, con un tetto massimo complessivo di 650 euro su base mensile per ciascuna lavoratrice. La circolare stabilisce anche che, ai fini dell’ottenimento del bonus, la richiesta dovrà essere inoltrata dal datore di lavoro tramite apposito “Portale delle Agevolazioni (ex DiResCo)”.

È proprio l’INPS, con circolare condivisa con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, a regolare la gestione dell’incentivo, entrato in vigore venerdì 16 maggio, fornendo indicazioni ai datori di lavoro in termini di adempimenti previdenziali previsti. Rientrano nella misura tutte le lavoratrici che, a prescindere dall’età anagrafica, siano prive di un impiego stabile da almeno 24 mesi, ovunque residenti. Il periodo di disoccupazione necessario scende a 6 mesi per le lavoratrici residenti nelle regioni della Zona Economica Speciale per il Mezzogiorno (ZES), ossia nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna. In entrambe i casi, deve trattarsi di lavoratrici “svantaggiate”, ossia impiegate in attività o settori con elevata disparità occupazionale di genere.

L’intento è ovviamente quello di ridurre le barriere all’ingresso e aumentare la presenza delle donne nel mondo del lavoro, ma bisognerà attendere per avere risultati concreti a lungo termine.

 

 

Lo strumento può essere sicuramente utile, a patto che sia integrato all’interno di una strategia occupazionale più ampia. Non basta, infatti, aumentare il tasso di occupazione femminile: occorrerà poi poter garantire alle lavoratrici livelli salariali tali da colmare il divario economico e professionale rispetto ai colleghi uomini, offrendo prospettive di carriera più stabili e dignitose. Si tratta, ad ogni modo, di accorciare le distanze, non di colmarle.

Dal punto di vista sociale, il bonus potrebbe un ottimo strumento per innescare un cambiamento culturale graduale; normalizzare l’assunzione di donne in settori e ruoli storicamente maschili può contribuire a modificare stereotipi radicati. In assenza di politiche strutturali, però, il rischio è quello di assunzioni temporanee o strumentali cui non corrisponde, da parte del datore del lavoro, un reale investimento nella crescita delle lavoratrici. L’incentivo economico è valido ma non affronta le cause più profonde del divario, da ricercare, ad esempio, nella carenza di servizi per l’infanzia, nelle disparità salariali o nel carico di cura.

A livello territoriale, infine, l’incentivo rischia anche di enfatizzare le disparità regionali, funzionando probabilmente meglio in quelle regioni in cui l’economia è già dinamica.

Per questo motivo, il Bonus Donne può essere parte della soluzione, ma non è “la” soluzione per un impatto reale e duraturo nel tempo. Può fungere da incentivo iniziale ma deve essere combinato con misure più ampie: accesso ai servizi, formazione, sostegno alla maternità/paternità condivisa, politiche contro la discriminazione. Fondamentali, in questo contesto, anche la formazione professionale continua e servizi di conciliazione famiglia-lavoro per un incremento stabile dell’occupazione femminile di anno in anno.

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