Dicey Dungeons: la recensione

Dadi, carte ed uno humor molto delicato per un altro bel colpo di Terry Cavanagh.

 

 

A volte le idee non devono essere rivoluzionarie, ma semplicemente buone, e devono essere seguite fino in fondo. Così, lo sviluppatore che aveva già centrato il segno con VVVVVV e Super Hexagon torna alla carica con un concept di base immediato, visto precedentemente in altre forme ma rinfrescato e ben presentato al giocatore.

La premessa di Dicey Dungeons è piuttosto semplice: un concorrente di un reality show condotto dalla Dea Bendata in persona viene trasformato in un dado, e dovrà superare 5 livelli di difficoltà crescente ed un boss finale per aggiudicarsi una puntata e la possibilità di esaudire un desiderio segreto. Per ottenere il suo premio però, dovrà ottenere un buon giro in una ruota della fortuna che non sembra esattamente regolare, ed i commenti, sempre più caustici e denigranti della presentatrice, caleranno un velo di sospetto sempre più pesante sul povero partecipante. Ogni livello presenterà diversi avversari da affrontare in combattimento, e le regole di ogni incontro dipenderanno dalla puntata del reality e dal personaggio che dovremo controllare. Ci sarà però una costante: le abilità messe in gioco (nel classico stile a turni) verranno controllate tramite delle carte e soprattutto dei dadi, che dovremo abbinare ad ognuna di esse, come nel classico gioco da tavolo Yathzee. 

 

 

Se all’inizio il concept può sembrare complicato, dopo alcune partite diventa estremamente naturale e porta a match incredibilmente tattici e serrati. Non solo: è possibile, entro certi limiti, decidere quale nemico potremo affrontare per primo in una mappa simil gioco da tavolo, aggiungendo un altro livello di strategia. Ben presto si imparerà a conoscere i nemici, che in verità non sono tantissimi ma sono ben caratterizzati, ed a capire quale sia meglio sfidare subito e quale invece è meglio tenersi per ultimo aspettando un passaggio di livello o una carta migliore che possa renderlo più abbordabile.

 

 

La struttura del gioco è solidissima: avremo carte elementali e avversari che ne saranno più o meno influenzati, abilità innate del nostro avatar scatenabili dopo un certo numero di danni subiti, negozi dove comprare nuove carte o migliorare quelle già possedute, numerose possibilità di aumentare il numero di dadi a nostra disposizione o rendere inutilizzabili quelli del nostro sfidante, oltre agli status infliggibili ed agli scudi e le immunità. Tutto questo ovviamente può ritorcersi contro, poiché l’intelligenza artificiale non risparmierà alcun colpo basso nei nostri confronti, a tal punto che di fronte ad una bruciante sconfitta potremmo quasi non arrabbiarci perché l’infame mossa decisiva è la stessa che avremmo eseguito anche noi. Quasi.

 

 

Ad avvolgere queste meccaniche, troveremo una grafica dallo stile ben definito che potrebbe non piacere a tutti ma che si mantiene caratterizzata e stilosa in ogni sua parte, dal disegno dei protagonisti ai font di dialoghi e menu, e che va a braccetto con un comparto sonoro di primissimo livello, dove le voci sono trasformate in gorgheggi, gli effetti sonori sono incisivi e ben assortiti; soprattutto si ritrova la collaborazione con Chipzel, l’artista nord irlandese che ancora una volta colpisce per la sua abilità tanto nella chiptune quanto nella musica ambientale.

Degna di menzione la caratterizzazione del deus ex machina, la già citata Dea Bendata: personaggio insieme divertente e malvagio, dona al gioco un sapore tutto suo, mettendo il giocatore nella condizione di sentirsi nelle mani di un burattinaio sadico e al tempo stesso divertente, capace di insulti che colpiscono allo stomaco e di battute brillanti. Una ricetta dal dosaggio difficile, ma in questo caso ben riuscita.

 

 

L’ottima musica ha anche una funzione lenitiva contro il grande difetto del gioco, ossia la ripetitività. Se da un lato ogni variante aggiunge un livello di sfida sempre crescente e mette in gioco nuove meccaniche, dall’altro sarà difficile non sviluppare una tendenza a seguire sempre la stessa combinazione vincente, usandola come fosse un mazzo imbattibile in un card game, e prendendo alcuni passaggi, come un continuo forzare la mano, finché i dadi non ci sorrideranno e finché il boss finale di ogni puntata, assegnato casualmente, non sarà quello più consono per la nostra strategia. Un difetto comunque tollerabile, se si considera una durata complessiva della campagna canonica di circa 45/50 ore, ma più marcato per chi si avventurerà nella conquista di tutti gli achievement. Tuttavia, con dei pezzi del genere nelle orecchie, si può resistere fino in fondo ed anche oltre, fino ad esplorare del tutto le numerose modalità secondarie, semplici varianti ma ben accette per chi una volta arrivato alla fine dello story mode vuole ancora darci dentro.

 

 

Dicey Dungeons è un titolo straordinariamente intelligente: oltre ad essere bello da vedere ed ascoltare, è estremamente riconoscibile. Sebbene non abbia rivoluzionato la storia del videogioco né quella della strategia, è stato realizzato con impeccabile cura dei dettagli, compreso quello più importante: il divertimento senza fronzoli.

 

Dicey Dungeons, 2019
Voto: 8
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