Il secondo capitolo della saga di Dune si è fatto attendere per ben 3 anni: la lunga attesa avrà premiato i fan della saga?
Il primo capitolo della saga si era concluso con la distruzione ad opera degli Harkonnen della casata degli Atreides, evento che aveva cambiato non solo il dominio di Arrakis, ma anche le sorti e la posizione del principe Paul Atreides (Timotèe Chalamet) e di sua madre Lady Jessica (Rebecca Ferguson), passati dall’essere i regnanti in carica di un regno prospero a fuggiaschi ricercati fra le asprezze del deserto.
Proprio tale condizione viene subito ripresa sin dalla prima scena del secondo capitolo, un po’ per riallacciare lo spettatore con il flusso narrativo del film e un po’ per enfatizzare la condizione del protagonista Paul Atreides e di sua madre; lo sconforto, la non appartenenza, la desolazione e l’emarginazione sono infatti tematiche centrali all’interno del film, e rappresentano tutte il motore propulsivo delle trasformazioni che investiranno nel corso del film il giovane principe.
Paul Atreides trova asilo nella tribù dei Fremen, una popolazione nomade che per i suoi costumi culturali e per le sue credenze dai tratti ancestrali e animistiche è relegata ad una condizione di isolamento nelle aride zone desertiche; questa popolazione però si mostrerà diffidente nei confronti del principe, applicando dunque lo stesso meccanismo di diffidenza che era stato applicato nei loro confronti, scatenando verso il principe e sua madre una sorta di razzismo passivo aggressivo di ritorno.
C’è però una parte dei Fremen, quella più anziana, conservatrice e credente, che è convinta che l’arrivo di Paul Atreides sia parte di una profezia che lo vede coinvolto completamente nei destini del popolo Fremen; lo scontro generazionale all’interno della popolazione nomade sarà però risolto proprio dal principe, che riuscirà a destrutturare la sua essenza e il suo passato per abbracciare una nuova percezione di sè.
Questa transizione non è il risultato di un processo individuale auto-indotto, ma l’insieme di diversi fattori che il regista Denis Villeneuve ha fatto dialogare tra loro senza però disperderne i singoli significati; l’attrazione per “l’altro”, la voglia di riscatto, la passione amorosa per la giovane e fiera combattente Chani (Zendaya) e le necessità storiche sono infatti tutti elementi che contribuiscono allo sviluppo di un nuova coscienza in Paul Atreides.
Questa densità di contenuti e la profondità di tale processo evolutivo pare però cozzare con le tempistiche e le esigenze cinematografiche del pubblico attuale; la trama infatti sembra scorrere con le dovute montagne russe emotive, ma forse lo fa anche troppo in fretta rispetto alla delicatezza di un determinato momento e alla complessità della trama.
Lo spettatore è bersagliato da una serie di terminologie, leggende, miti, fatti e sconvolgimenti senza che possa prendersi un attimo per riflettere, assimilare e processare tutto questo bagaglio narrativo-emozionale; inoltre la velocità con la quale certi eventi si susseguono sembra stendere sul film una patina di superficialità che tuttavia non rispecchia sicuramente il lavoro di scrittura che ha portato alla produzione di questo film.
La sensazione è che la saga di Dune reimmaginata da Denis Villeneuve abbia molto da dire senza riuscire però a trovare il giusto ritmo per farlo, come se la voglia di giungere al punto di questa fantastica storia sia più forte della necessità di accompagnare lo spettatore nel processo narrativo, il quale piuttosto pare essere scaraventato nei nodi chiave della storia, un po’ come nel caso dello scontro fra il Principe Paul e la sua nemesi designata Feyd-Rautha Harkonnen (Austin Butler).
La sceneggiatura del terzo capitolo della saga sembra essere già pronta; speriamo solo che nessuno vada di fretta, soprattutto la trama.