Un’impresa ambiziosa apparentemente ben riuscita: ecco cosa ci portiamo a casa dal G7 Agricoltura e cosa c’è ancora da fare.
A settembre 2024 l’Italia ha ospitato il G7 Agricoltura, un convegno informale di 9 giorni che ha visto protagonista il Gruppo dei Sette (Italia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti d’America), ma anche con la presenza dell’Unione Europea nelle figure del Presidente del Consiglio Europeo e dal Presidente della Commissione Europea. L’appuntamento nell’isola di Ortigia, fortemente voluto dal Ministro Lollobrigida, accende i riflettori sul grande e confuso tema della sovranità alimentare in un delicato gioco di forza tra esigenze sociali, economiche e ambientali divergenti.
In termini demografici, si stima che entro i prossimi 25 anni la popolazione mondiale raggiunga all’incirca i 10 miliardi di persone, che il nostro Pianeta dovrà essere in grado di sfamare. Questo introduce non solo il tema della riconversione dei terreni da adibire all’agricoltura, a discapito dell’industrializzazione e dell’urbanizzazione, ma anche dei cambiamenti climatici in termini di aumento dei livelli del mare e di condizioni ambientali potenzialmente avverse al sistema produttivo così come lo conosciamo oggi.
Ecco così che garantire una dieta bilanciata (e mediterranea) e salvaguardare l’ambiente diventano due facce di una stessa medaglia. Le soluzioni proposte? Innovazione tecnologica ed efficientamento della produzione agricola. Un’agricoltura sostenibile potrebbe passare quindi per il ricorso alla produzione sintetica, cellulare o senza terra, circolare e rigenerativa; un’agricoltura su misura. Ecco perché intelligenza artificiale e biofabbricazione, automazione e Internet degli Organismi Viventi (IoLT) sono stati temi chiave del G7 Agricoltura.
L’obiettivo comune è quello di contribuire alla sovranità alimentare fortemente voluta da questo governo, tanto da scegliere di rinominare il Ministero addetto ai lavori “Ministero della Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste” (MASAF). Cosa si intende allora per sovranità alimentare? Filiere produttive corte, efficienti e rispettose dell’ambiente, minori sprechi, valorizzazione delle produzioni locali e della tradizione italiana, consumo consapevole e alimentazione basata sul principio della stagionalità nonché riduzione della distanza tra produttori e consumatori. Un modello produttivo pensato per puntare alla qualità più che al profitto.
La sovranità alimentare non è quindi un concetto nazionalista, come l’etimologia potrebbe lasciar intendere, ma di solidarietà globale tra piccole aziende e/o classi contadine per l’autodeterminazione delle politiche agricole.
E a livello pratico? Una delle ipotesi dibattute al G7 per raggiungere la sovranità alimentare è il ricorso alla zootecnia e all’agricoltura rigenerativa, un approccio produttivo che mira a promuovere la biodiversità favorendo al contempo la rigenerazione del suolo attraverso un minor ricorso a sostanze chimiche per piante e animali e la riduzione della produzione di carbonio nelle attività agricole. L’utilizzo di piantagioni autoctone e l’alternanza rotativa di flora e fauna nella coltivazione dei terreni sono alcuni dei pilastri di questo modello, che lo rende sostenibile nel lungo periodo.
Anche l’innovazione tecnologica gioca la sua parte: l’AI consentirebbe di prevedere l’effetto dei cambiamenti climatici in base alle condizioni iniziali del terreno mentre il ricorso a droni, sistemi e sensori GPS permetterebbero invece il monitoraggio costante di piantagioni e allevamenti per una produzione di precisione. Pratiche di coltivazione e allevamento rigenerative mirano anche a favorire la resilienza e la sostenibilità delle piccole imprese agricole, migliorando al contempo la qualità dei prodotti e supportando le realtà locali. C’è da dire che, se nel lungo periodo questo dovrebbe ridurre i costi operativi aziendali, è altrettanto vero che nel breve richiederebbe un investimento iniziale considerevole se si conta anche l’assenza, al momento, di incentivi statali. Inoltre, per entrare regolarmente in esercizio, un simile meccanismo produttivo ha bisogno di tempo.
Questo rende il nostro Paese ancora fortemente dipendente dalle importazioni e implica, almeno momentaneamente, un ripensamento di posizioni finora troppo drastiche in merito al boicottaggio assoluto di alcuni alimenti, come le carni. Ferma restando l’importanza di orientare l’agricoltura di domani verso modelli produttivi che implichino l’utilizzo di nuove tecnologie, l’agricoltura di oggi deve basarsi su scelte di consumo consapevoli e bilanciate, che integrino piuttosto che escludere. Cibo è sinonimo sia di salute che di rispetto dell’ambiente, nonché di economia circolare e crescita economica. E, come più volte ribadito in occasione del G7, in questo ognuno di noi gioca la sua parte.