Il caso Romania: elezioni pilotate o addomesticate?

L’esclusione dalle elezioni presidenziali romene del leader dell’ultra-destra evoca preoccupanti parallelismi antidemocratici con quanto avviene da anni nei principali paesi dell’Unione Europea.

 

 

Da un decennio la temperatura del panorama politico dei paesi aderenti all’Unione Europea sta crescendo. Il continuo negare l’esistenza dei problemi sentiti dai cittadini ha fatto concentrare l’attenzione su elementi sicuramente concreti, ma ha permesso un lungo periodo di poca attenzione alle dinamiche di come viene gestito e controllato il potere all’interno del perimetro UE.

Quanto sta avvenendo in Romania in questi giorni è un fatto di una gravità incredibile, che dimostra quanto il concetto di democrazia sia labile e mutevole all’interno dell’Unione Europea: dopo che la sessione elettorale dello scorso novembre era stata annullata in seguito alla vittoria a sorpresa del leader dell’ultra-destra locale Calin Georgescu, ora lo stesso è stato escluso dalla nuova tornata elettorale prevista per maggio.

Georgescu è uno sconosciuto a livello internazionale, ma nel suo Paese è un volto noto, essendo stato diverse volte tra i possibili candidati a guidare governi tecnici. Si tratta di un personaggio sicuramente particolare: ultra-nazionalista e tradizionalista, legato alla cristianità ed alla famiglia, Calin Georgescu non ha mai fatto segreto di ammirare la Guardia Di Ferro né di essere pronto a rivedere le posizioni della Romania in merito alla guerra in Ucraina, e di essere disponibile a fermare l’invio di armi verso il Paese confinante nel cercare un dialogo con Putin. Ha posizioni critiche nei confronti dell’Unione Europea, verso la quale la Romania avrebbe perso la sovranità senza ottenere vantaggi concreti, ed è un forte sostenitore di Donald Trump. Ma Georgescu non è solo questo: incarna un sentimento di rinnovamento e di quella vitalità nazionale indebolita dalla corruzione radicata negli apparati politici romeni.

 

 

Georgescu, un vero e proprio outsider dell’annullata tornata elettorale di novembre 2024, è passato in poche settimane da un previsto 4% di consensi fino al 22% allo spoglio delle schede, ed in sede di ballottaggio era accreditato di non meno del 40-45% dei voti; il suo peccato originale sarebbe quello di aver ottenuto visibilità attraverso una massiccia campagna sui social media (principalmente Tik Tok), anche utilizzando bot e apparendo in video non legati alla campagna elettorale.
È questo un delitto? Apparentemente si, anche se ci si scorda che secondo questa logica qualunque candidato automaticamente verrebbe eletto se avesse adeguata visibilità sui social. Questo è però smentito dai fatti: basti vedere il caso Trump, bandito da Facebook, Instagram e Twitter ma che ha vinto le elezioni statunitensi per le sue idee, o in senso contrario come male abbia fatto Olaf Scholz in Germania nonostante il supporto dei media.

Georgescu è quindi un personaggio che raccoglie grande supporto presso gli elettori per le sue idee ed i suoi propositi; la sua estromissione significa ammutolire con la forza quella metà di romeni che con lui avrebbero voluto una svolta politica e sociale.
La decisione di vietarne la partecipazione alle nuove elezioni viene motivata dalla Corte Costituzionale romena è una scelta assolutamente antidemocratica, che sembra motivata esclusivamente dal voler impedire ad un candidato non gradito all’attuale Unione Europea di vincere le elezioni.

 

 

Ma forse Georgescu è scomodo anche per la sua voglia di nazionalizzare le risorse naturali romene: è un ostacolo per chi voglia controllare il suolo europeo come un proprio feudo, e rappresenta quella voce crescente che dissente dai diktat di un’UE completamente appiattita sugli interessi Franco-Tedeschi.
La Romania, come l’Ungheria e la Slovacchia, vive una dualità nei confronti dell’Unione Europea: sono state inglobate in nome dell’europeismo come la Polonia prima, ma in realtà la loro funzione era quella di essere serbatoi per manodopera a basso costo e luoghi dove delocalizzare le produzioni occidentali, oltre ad essere nuovi mercati vergini per la finanza speculativa.
La natura dei Paesi dell’est Europa è però profondamente diversa da quella occidentale: i cinquant’anni di comunismo hanno lasciato profonde tracce, e quel poco di buono che il sistema dittatoriale e tirannico imposto dall’URSS aveva portato (soprattutto un lavoro ed una casa per tutti) oggi viene reclamato a gran voce sia dai nostalgici che quel periodo l’hanno vissuto sia dalle nuove generazioni disgustate dai disvalori imposti dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti a trazione Democratica.

Chi parla di possibili infuenze russe sul voto romeno dimentica forse che di intromissioni nelle elezioni nazionali più recenti ne abbiamo viste molte: è il caso dell’Italia, con la stessa Von Der Leyen che ha tentato di impedire a Giorgia Meloni di arrivare a Palazzo Chigi (con tre anni di ritardo, visto come il precedente governo PD-M5S ha sfruttato l’emergenza Covid per restare in sella, ben tutelato da un Presidente della Repubblica tutt’altro che imparziale); sono i casi della Francia e della Germania, dove pur di impedire alla destra di arrivare democraticamente al governo, gli altri partiti hanno formato delle coalizioni di potere incapaci di arrivare ad alcun risultato per ovvie incompatibilità, col risultato di avere esecutivi che cadono in poche settimane o tengono stretta la poltrona in un immobilismo estremamente deleterio per gli stessi Paesi. Ci si dimentica delle campagne organizzate negli USA dai democratici a sostegno dei loro amici progressisti europei, della mobilitazione delle star dello spettacolo che dall’alto della loro “incontrovertibile esperienza politica” (si, ovviamente sono ironico) puntano ad indirizzare il voto delle persone più influenzabili; è il caso di George Soros, lo speculatore finanziario che nel 1992 agì contro Inghilterra ed Italia (portando il nostro Governo di allora a dover svalutare la Lira del 30%) e che oggi manovra dietro le quinte al fianco dei Democratici statunitensi per diffondere l’ideologia woke. Ed ovviamente è il caso delle esternazioni di Donald Trump, Steve Barron ed Elon Musk negli scorsi mesi, in direzione ovviamente opposta.

 

 

La realtà è che ogni elezione nazionale dei Paesi europei è da qualche anno sotto tentativo di controllo da parte di attori internazionali a cui non interessa il benessere dei cittadini; l’UE in questo senso è parte integrante del problema, strumento dispotico di controllo prima che fonte di coesione e forza, ed il suo palese tentativo di manovrare odiosamente le elezioni nazionali sono l’evidenza di quanto questa struttura sovrannazionale sia deleteria e finisca per essere il fumo negli occhi anche di chi non avrebbe nulla in contrario a vedere un Vecchio Continente unito e fondamentale nello scacchiere politico internazionale.

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