Il presidenzialismo e l’Italia: nuova possibilità o ennesimo miraggio?

Il presidenzialismo è uno dei punti cardine del programma di Giorgia Meloni, ma questa particolare forma di governo può risultare deleteria.

 

 

Fra le proposte promosse maggiormente in campagna elettorale dal partito di Giorgia Meloni c’è sicuramente quella del presidenzialismo, ovvero l’intenzione di cambiare la forma di governo del Paese passando quindi da una repubblica parlamentare ad una repubblica presidenziale.

I discorsi sono stati molto vaghi e piuttosto demagogici finora, vista anche la necessità di arruolare quanti più elettori possibili nel breve lasso temporale che ha occupato questa campagna elettorale estiva, ma la proposta c’è; per il momento tuttavia non ci si è addentarti nei tecnicismi dell’argomento, e il riferimento al possibile cambio nella forma di governo è stato cauto ma sopratutto vago rispetto alla forma del presidenzialismo stesso.

Il presidenzialismo puro si basa sulla volontà di mettere in pratica una democrazia politicamente più diretta, in cui il Capo dello Stato, nelle cui mani è concentrato il potere esecutivo, è anche capo del governo, ed è eletto direttamente dal popolo attraverso apposite elezioni; il parlamento invece è il depositario del potere legislativo ed anch’esso è eletto con elezioni apposite dal popolo, mentre il potere giudiziario rimane indipendente ma diretto da una Corte suprema eletta tutta, o in parte, dal Capo di Stato.

 

 

Il Capo di Stato e il parlamento non possono sfiduciarsi a vicenda e questo probabilmente garantirebbe una durata più lunga dei governi, in quanto verrebbe a mancare quel meccanismo di sfiducia che in Italia spesso ci ha portati ad elezioni anticipate e a continui cambiamenti nell’agenda politica del Paese; negli ultimi vent’anni infatti in Italia ci sono state ben 6 legislature diverse e 11 Presidenti del Consiglio, sicuramente due cifre che non trasmettono un senso di stabilità.

Esiste poi la variante di governo semi-presidenziale, storicamente attuata quando il sistema parlamentare è messo in crisi da maggioranze ed alleanze precarie ma non si vuole cedere in termini di controllo reciproco fra governo e parlamento; questo sistema infatti, adottato ad esempio in Francia, prevede la possibilità di sciogliere la camere da parte del Capo di Stato che tuttavia è costretto a condividere il potere con un Primo Ministro da lui scelto ma condizionato all’ottenimento della fiducia da parte del parlamento.

Il centrodestra, e in particolar modo Fratelli d’Italia, non hanno proferito troppe parole in merito alla forma, ma lo hanno fatto in merito al risultato a cui il presidenzialismo secondo loro può portare: un paese governato con più continuità e quindi con più stabilità, in grado di evitare la prassi trasformista che spesso ha accompagnato le vicende di palazzo di questo paese.

Certamente questa forma di governo, nella sua variante più pura, garantirebbe nella maggior parte dei casi a qualsiasi partito o coalizione la possibilità di governare per tutta una legislatura senza dover temere per la propria incolumità politica, potendo così organizzare in maniera più funzionale e lungimirante l’azione di governo. Come quasi ogni sistema è però imperfetto: infatti una frizione di natura politica fra esecutivo e parlamento genererebbe uno stallo in cui ristagnerebbe tutto il sistema Paese.

 

 

Differenti elezioni in differenti momenti possono portare infatti ad avere governi di uno schieramento e maggioranze parlamentari dell’altro, una situazione che in uno Stato ad alto tasso di burocrazia come il nostro porterebbe ad una paralisi politica tanto ideologica quanto pratica, un’eventualità che in questo momento non possiamo proprio permetterci viste le inopinabili impellenze economiche e sociali che non dobbiamo mancare.

L’elezione diretta del Capo di Stato, e quindi del capo di governo, eliminerebbe quel filtro costituzionale che oggi nel nostro sistema è rappresentato proprio dal Presidente della Repubblica, per i più probabilmente una mera figura ornamentale della politica, ma in realtà garante delle nostre libertà costituzionali attraverso quello che dovrebbe essere un vigile controllo sull’esercizio dei tre poteri.

Il centrodestra su questo ha probabilmente ragione: all’Italia e ai suoi governi servono stabilità e possibilità d’azione spalmante su di un periodo congruo per l’opera di un esecutivo; ma la modifica costituzionale è la soluzione?

 

 

Probabilmente con altri scenari all’orizzonte la possibilità potrebbe anche essere analizzata con interesse, magari con la partecipazione di tutti i partiti in un’ottica costruttiva e non schiava dell’interesse partitico, vista la portata della manovra. Non sarebbe però più sano per una Paese educare la futura classe politica a battersi per le proprie idee e per quelle dei propri elettori accettando la sfida dell’opposizione senza distribuire tagliole lungo il percorso del Governo o facendo del trasformismo una virtù per la longevità parlamentare?

Spesso in passato abbiamo deciso di cambiare drasticamente le cose, come gli alleati durante la guerra o i sistemi elettorali; per una volta magari sarebbe il caso di mantenere dignitosamente un rotta, non disfandoci della carte che sembrano errate ma provando a reinterpretarle alla luce di nuove consapevolezze.

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