Con il CEO Tavares in uscita nel 2026, Stellantis tira le somme e guarda al futuro.
E’ prevista per gennaio 2026 la dipartita del primo (ed unico) CEO di Stellantis, con una buonuscita ipotizzata di circa 40 milioni di euro alla quale si somma il conferimento di azioni del gruppo Stellantis e Ferrari, entrambe quotate in borsa. Cifre da capogiro, soprattutto se si pensa alle recenti problematiche che sta attraversando il gruppo, dovute in parte ad un periodo di difficoltà dell’industria automobilistica globale e, in parte, a sfide specifiche legate a scelte strategiche ed organizzative dell’Amministrazione.
Sin dalla sua fondazione, infatti, l’azienda ha rappresentato una grande sfida per i suoi soci e azionisti in termini di strategia, risorse e posizionamento di mercato. Frutto della fusione di FCA e PSA, il gruppo italo-francese nasce con l’intento di portare sotto un’unica guida numerosi marchi come Fiat, Jeep, Peugeot, Citroën, Opel e Alfa Romeo, con caratteristiche, storia e mercati di riferimento diversi.
A mancare, sin dall’inizio, è stata probabilmente una chiara definizione della strategia per posizionare e differenziare i marchi sul mercato, creando a volte confusione e sovrapposizione nel portafoglio prodotti. In alcuni casi c’è stato un ridimensionamento o una perdita di identità dei prodotti stessi (come con Lancia o Chrysler). La mancata integrazione culturale e la carenza di una visione univoca sono elementi che hanno portato a problemi di coordinamento e comunicazione non solo esterni ma anche (e soprattutto) interni all’azienda.
Indubbiamente il periodo storico che sta vivendo il settore automobilistico non aiuta. Il percorso segnato dall’UE verso l’elettrificazione del mercato impone il raggiungimento di obiettivi di transizione energetica ambiziosi nel breve periodo; gli investimenti in ricerca e sviluppo, la produzione di batterie, la predisposizione di infrastrutture di ricarica e di trasformazione delle linee di produzione richiedono sforzi importanti per le aziende di settore. In sostanza, la transizione è complessa e costosa, e potrebbe generare instabilità finanziaria o pressioni sugli utili.
Non è più un mistero infatti che la produzione di veicoli elettrici abbia margini di profitto più bassi rispetto a quella di veicoli a combustione interna (argomento che abbiamo approfondito di recente), soprattutto durante le prime fasi di adozione. Questo comporta costi aggiuntivi e influisce sulle scelte strategiche interne all’azienda. Se a ciò si somma l’aumento dei costi delle materie prime (ad esempio il litio) e dell’energia ma anche l’inflazione che colpisce i consumatori, il rallentamento della domanda che impatta sulle vendite rende gli investimenti nell’elettrico comprensibilmente poco appetibili per un gruppo così complesso.
Probabilmente per questi motivi Tavares ha da subito adottato una posizione cauta nei confronti della transizione energetica, cosa che non ha giovato ai suoi rapporti con l’UE. Allo stesso tempo, questo lascia Stellantis indietro rispetto a concorrenti come Tesla, Volkswagen e General Motors nell’offerta di veicoli elettrici di fascia media e alta, con un danno di immagine e di competitività dell’azienda.
Il CEO uscente non ha mancato di esprimere pubblicamente i suoi dubbi circa la sostenibilità economica delle normative europee sulla riduzione delle emissioni e sull’accelerazione della transizione elettrica che, secondo lui, potrebbero danneggiare non solo le case automobilistiche ma anche gli stessi consumatori. Sebbene queste critiche possano avere un fondamento logico, l’opinione pubblica e gli investitori hanno interpretato alcune dichiarazioni come un segnale di riluttanza al cambiamento, influenzando la percezione dell’azienda come poco orientata alla sostenibilità.
Questo non dovrebbe però sorprendere se si pensa che, sin dai tempi di PSA, Tavares fosse noto per la sua capacità di efficientare la produzione tagliando i costi e orientando la strategia al risparmio più che all’innovazione e alla crescita di lungo periodo. Ciò si traduce in una mancanza di attenzione prioritaria alla digitalizzazione dei veicoli e alle tecnologie di guida autonoma in favore di tagli alla produzione, che potrebbero aver costituito un limite competitivo per Stellantis rispetto ad altri operatori di settore, già orientati allo sviluppo di software IA e di connettività. La razionalizzazione della produzione e l’abbattimento dei costi passano poi, inevitabilmente, attraverso la riduzione di personale, la chiusura di alcuni stabilimenti e la delocalizzazione della produzione, provocando tensioni tra Stellantis e i sindacati e le comunità locali (Fiat, FCA, Stellantis: gli investimenti dello Stato italiano all’estero).
E’ indubbio che le scelte del CEO siano state necessarie ed efficaci nel breve termine per garantire la sopravvivenza e la stabilità del gruppo, soprattutto nei suoi primi periodi di vita, e che la designazione di un leader conservativo sia risultata vincente se contestualizzata nello specifico periodo storico. A lungo andare, tuttavia, posizioni eccessivamente conservatrici e caute hanno comportato ritardi nell’elettrificazione mentre il focus sui tagli ha limitato la capacità dell’azienda di affrontare sfide future e di competere in un settore in rapida evoluzione. E’ auspicabile pertanto che, nella sua seconda era, Stellantis riesca a bilanciare meglio le scelte relative a investimenti per la transizione energetica, strategie competitive, costi di conformità normativa e gestione delle sinergie tra brand attraverso il ricorso all’innovazione e un approccio strategico equilibrato, con focus su competitività e crescita.