La guerra in Ucraina: un disastro ambientale pronto per essere servito

Le atrocità causate della guerra in Ucraina non si fermano alla morte di civili e militari, ma coinvolgono l’intera ecologia del Paese e non solo.

 

 

La guerra fra Ucraina e Russia ormai imperversa da quasi 3 anni, e le persone rimaste uccise o bisognose di assistenza umanitaria hanno raggiunto cifre orrendamente alte: 10.000 civili e quasi 500.000 mila soldati di entrambi gli schieramenti sono rimasti feriti o uccisi nel corso del conflitto, e secondo Save The Children 14,6 milioni di persone hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria.

La guerra pero è un evento totalizzante per un territorio, e così la distruzione che la guerra in Ucraina sta causando va oltre le vite umane e investe il campo di battaglia dove questa logorante guerra si sta combattendo; si sta infatti causando un danno ambientale senza precedenti ad uno dei territori più fertili del mondo.
“Cernozëm”, o terre nere in ucraino, è il nome con cui vengono chiamate tutte quelle terre iper-fertili rese tali dalla loro particolare formazione geologica, che ha creato nel corso del tempo uno spesso strato di terreno ricco di materiale organico; queste terre sono però principalmente concentrate nel sud-est del Paese, ovvero nell’Oblast’ di Zaporižžja, il granaio d’Europa.

Data la sua posizione geografica e la sua valenza strategica (le terre fertili e la presenza della centrale nucleare omonima) le operazioni belliche si sono concentrate principalmente in quest’area, che di conseguenza ha subito pesanti bombardamenti; munizioni ricche di metalli cancerogeni, materiale incendiato e fumi tossici hanno invaso l’aria e l’acqua del territorio.

 

 

Bonificare un territorio così ampio e così sfruttato dal punto di vista agroalimentare è molto arduo (lo si è visto in Cambogia e in Vietnam ai tempi della guerre rispettivamente contro la Francia e gli USA), dato l’ingente quantitativo di risorse tecniche e pratiche da impiegare nell’opera; a maggior ragione se il territorio in questione è al centro di un conflitto bellico che non sembra voler cessare.

Questo inquinamento ambientale regionale può risultare ancora più pericoloso se si considera il ruolo che questa regione ha all’interno del mercato dei cereali; ad esempio nel 2023 l’Italia da sola ha importato dall’Ucraina 589 mila tonnellate di grano da utilizzare nel proprio mercato, in accordo con l’agenda di Bruxelles in materia di commercio internazionale agroalimentare (in pratica l’Italia ha abbandonato 200 mila ettari di terreno coltivabile nel Meridione per stringere accordi commerciali con Ucraina e Canada).

Ma chi può affermare con certezza che questo grano sia sicuro? Nessuno, perché probabilmente non lo è; fino all’agosto scorso intere squadre di lavoratori del settore ucraini venivano utilizzate per “depurare” le riserve di grano da pezzi di missili, parti di esplosivi e munizioni, tutto materiale costruito con elementi cancerogeni come il cadmio o il mercurio.

L’ECHA (l’Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche) dovrebbe periodicamente analizzare il grano proveniente dall’Ucraina e informarsi sull’impatto ambientale della guerra in quei territori, magari monitorando attraverso terzi i valori di alcune sostanze all’interno delle acque e dei territori ucraini; ma visto come l’Agenzia ha trattato la vicenda del glifosato è lecito pensare che quei valori possano avere dei limiti molto alti in virtù di accordi commerciali.

 

 

La delicata situazione dell’Ucraina poi potrebbe essere stata per l’UE un terreno fertile per mascherarsi da benefattrice e seminare la propria influenza non solo nello stato slavo, ma anche in Paesi in via di sviluppo africani e asiatici come Somalia, Kenya, Gibuti, Afghanistan; l’UE infatti ha partecipato come protagonista all’iniziativa per aprire un corridoio umanitario nel Mar Nero che potesse permettere al grano di raggiungere questi Paesi.

Ma quel grano, esposto a roghi, bombardamenti e munizioni, è stato controllato o è stato immolato imprudentemente sull’altare dell’aiuto umanitario e delle necessità commerciali?
In attesa di una verità, l’unico strumento da adottare è un consumo più consapevole, dalla scelta alla fruizione; meglio due piatti di pasta in meno che quella mantecata al cadmio.

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