L’arresto della giornalista italiana poteva essere evitato mettendo in pratica semplici attività preventive tipiche delle attività di intelligence.
Il 19 dicembre scorso la giornalista italiana Cecilia Sala è stata arrestata a Teheran con l’accusa di aver violato le leggi islamiche della Repubblica iraniana; dopo quasi ventun giorni di prigionia la ventinovenne romana è stata liberata a seguito di quella che è stata definita una formidabile operazione di intelligence e di diplomazia. Se pur sia innegabile lo sforzo prodotto dal Governo e dai Servizi Segreti italiani, sono passati sottotraccia gli errori del nostro apparato d’intelligence, mancanze che hanno portato all’arresto della giornalista.
È ormai appurato che la detenzione della Sala sia scaturita dall’arresto a Malpensa dell’ingegnere iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, avvenuto su richiesta statunitense il giorno antecedente all’arresto dell’italiana. La decisione politica di assecondare l’alleato USA è stata presa senza che i nostri Servizi mettessero in campo quelle attività preventive tipiche di un servizio d’intelligence, necessarie soprattutto quando si lavora su scenari critici come quello iraniano.
Abedini viene accusato dagli Stati Uniti di sostenere l’approvvigionamento di droni ai Pasdaran e di violare le leggi statunitensi in ambito di esportazioni su beni sanzionati. L’arresto di un soggetto così controverso, su mandato di un nemico della Repubblica Islamica, doveva avvenire solamente dopo aver avvisato i nostri connazionali in Iran riguardo le precauzioni da prendere. Il profilo di Cecilia Sala si prestava facilmente ad essere utilizzato come contromossa all’arresto di Abedini; in questo caso sarebbe bastato informare i servizi consolari italiani a Teheran che avrebbero assicurato alla giornalista un rientro sicuro.
Il pasticcio strategico nella gestione del caso Abedini ha messo il Paese in una posizione scomoda risolta solamente da un’azione decisa del Governo; alle tre settimane di prigionia della Sala sono corrisposte frenetiche attività diplomatiche per trattare con l’Iran da un lato e con l’alleato USA dall’altro. Oltretutto, con la disposizione del Ministero della Giustizia per la liberazione dell’ingegnere iraniano, si è dichiarata per la prima volta l’inefficacia dell’extraterritorialità del diritto USA nel nostro Paese, principio giusto ma che negli anni si è spesso piegato ad esigenze politiche.
Mentre i rapporti Roma-Teheran risultano più o meno immutati dopo questo caso, non si può dire lo stesso dell’alleanza con Washington, nei cui confronti l’Italia incassa una brutta figura e forse anche un debito in ambito diplomatico.
Il merito dei nostri servizi di intelligence e della diplomazia italiana sta sicuramente nel come si è posto rimedio al danno procurato; la detenzione della giornalista italiana è stata eccezionalmente breve in confronto a casi analoghi e questo è dovuto ad una decisione politica del Governo che ha prioritizzato la liberazione di Cecilia Sala anteponendola alle richieste statunitensi.
I servizi di intelligence hanno il compito di raccogliere, analizzare e interpretare informazioni utili per prevedere e affrontare minacce potenziali, sia a livello nazionale che internazionale; un approccio preventivo è fondamentale per comprendere gli scenari futuri. L’obiettivo dei Servizi è anticipare le minacce e informare il Governo, consentendo a questo di adottare misure preventive e mitigare rischi prima che si concretizzino. Arrestare un soggetto come Abedini senza considerare la presenza di Cecilia Sala sul territorio iraniano, rappresenta un errore facilmente evitabile da parte della nostra intelligence, un errore a cui, fortunatamente, è stato posto un rapido rimedio.