Non tutte le ciambelle vengono col buco. Questo spin-off, invece, è un donut paffuto e pieno zeppo di zucchero glassato.
Il contenuto del nuovo film della Pixar non è molto difficile da intuire considerato il titolo didascalico e poco fantasioso. Ma state tranquilli… è l’unica cosa che non funziona in questo lavoro. Dietro alla scelta di produrre un lungometraggio sul passato di Buzz Lightyear c’è infatti una storia dal messaggio profondo, ma anche divertente e piacevole da seguire. Il regista, Angus MacLane, è, a detti di molti, il massimo esperto della saga di Toy Story e sembra dimostrarlo con un tocco visivo moderno ma pieno zeppo di citazioni. Io ne ho beccate almeno 10. Scrivetemi se ne cogliete di più… si vince un Cobra d’oro!
La domanda che sta dietro all’intreccio è piuttosto semplice: cos’ha reso Buzz quel che è? La risposta dura poco più di due ore ma è sorprendente. Si avvisa che, per chi ama il genere fantascientifico, è previsto un orgasmo multiplo di quelli che solo Rocco Siffredi può garantire. Tute spaziali da retro-game, astronavi futuristiche, basi orbitali in stile Asimov: tanta roba e tutta bella. Si parte da Wall-E (tentativo moscetto di qualche anno fa) e si arriva ad un Halo puccioso e coccoloso.
Chi ne sa di questi temi astrali è consapevole che buona parte del successo arriva dal giusto villain e qua, vi assicuro, si tocca l’apice; talmente tanto che non si può scrivere nulla dell’identità segreta del cattivone, pena l’evirazione immediata ad opera del tribunale internazionale dello spoiler. Certo è che, se quando la scoprite non fate oohhhhh come i bambini di Povia, avete seri problemi neuronali.
La chicca? La compagna di Buzz Lightyear, Aisha: a memoria, è la prima eroina del mondo Disney ad essere apertamente omosessuale arrivando ad avere una pacifica compagna tutta amore e famiglia del Mulino Bianco 2.0. Un bel salto in avanti per un’azienda che spesso è stata accusata di essere stata fondata e guidata da un nazista con i guanti da topo. I tempi cambiano, ovvio, ma è sempre bello quando ne si coglie l’evolversi.
Alla fine, questa nuova uscita Pixar è un film sull’insistenza e la cocciutaggine ma in senso opposto. Ci avevano insegnato fin dall’infanzia che insistere fosse fondamentale per raggiungere la felicità ma potrebbe non essere stato un consiglio del tutto giusto. Dare capocciate ad un muro d’acciaio, d’altronde, può causare un trauma cranico e ora sembra che qualcuno si prenda la briga di spiegarlo alle nuove generazioni. Lo avessero fatto con noi, mi sarei evitato molti bernoccoli.
Il rischio di un’operazione simile era il prendersi troppo sul serio. Non è stato così. L’improbabile squadra d’assalto che si accompagna al protagonista serve proprio a smorzare i suoi muscoli e la sua (fastidiosa) mascella. L’umorismo è sempre presente; in alcuni casi sfocia in veri e propri picchi di comicità liberatori, messi con mestiere proprio là dove la tensione narrativa si fa alta. Il gattino robot poi è semplicemente geniale. Il mio regno per un micetto così.
In attesa di scoprire perché Woody abbia scelto di fare il cow-boy, ci godiamo le rivelazioni scottanti su come Buzz Lightyear abbia ottenuto i galloni di astronauta più figo dell’universo… a detta di tutti i bambini. Pure quelli che iniziano ad avere la barba bianca.
Verso l’infinito e oltre. O almeno verso un sequel che, se tenuto su questi livelli, sarà davvero ben accetto.