Ampiamente inseribile nella non pregiatissima categoria dei B-movies, L’Ultima Odissea è un film tutto sommato godibile per chi apprezzi le rarità.
Negli anni ’70, la cinematografia internazionale ha prodotto una enorme quantità di pellicole-spazzatura che nel corso degli anni abbiamo potuto “apprezzare” grazie alle tante televisioni private che, pur di mettere qualcosa in palinsesto oltre alle televendite, erano disposte a passare anche il filmino del matrimonio del cugino del macellaio sotto casa.
L’Ultima Odissea non rientra necessariamente in questa categoria, ma di primo acchitto sembra avvicinarcisi molto, grazie ad una realizzazione tecnica non eccezionale ed una trama un filo troppo semplicistica e stereotipata.
L’Ultima Odissea è tratto dal libro La Pista Dell’Orrore, ma ne modifica profondamente la storia di fondo, riutilizzando solo gli spunti più spettacolari sui quali inserisce una narrazione diversa. Il film narra del viaggio di alcuni sopravvissuti ad una guerra atomica, che sono costretti ad abbandonare il rifugio trovato in una base militare missilistica per cercare un insediamento che consenta loro di tornare a vivere una vita normale.
Uscito per la televisione statunitense nel 1977, L’Ultima Odissea è ben lungi dall’essere una pellicola memorabile: la sceneggiatura è altamente rivedibile, ma non è peggiore di quelle che alimentano le storie di tante produzioni inguardabili che affollano le principali piattaforme di streaming. Sono pochi gli elementi credibili della storia dietro L’Ultima Odissea, a partire dal fatto che in caso di guerra quelle installazioni sarebbero state i primi bersagli dei missili nemici; ma anche l’evoluzione degli eventi, gli incontri lungo la strada e l’epilogo finale lasciano davvero perplessi.
Si nota una chiara superficialità nel raccontare una storia che avrebbe meritato tutt’altro approccio, più scientifico e veritiero. è un vero peccato, perché andando oltre l’aspetto da storiella conferito dalla fotografia e dalla stessa trama, non si può negare che L’Ultima Odissea non abbia qualche interessante spunto.
Specialmente quando si parla di mutazioni e di città infestate, L’Ultima Odissea mostra un lato di sé tutt’altro che disprezzabile: con scene crude e, nonostante una evidente povertà di effetti speciali ma discretamente disturbanti, il film diretto da Roger Zelazny (autore anche de La Pista Dell’Orrore) riesce a colpire lo spettatore. Peraltro certe scene ricordano molto quelle che poi avremmo potuto apprezzare in Fallout, iconico videogioco che ha prodotto anche una serie TV (di tutt’altro tenore rispetto a L’Ultima Odissea).
Il comparto attoriale è decisamente povero. Se la parte del leone la fa George Peppard, che oltre ad essere poi stato il capo dell’A-Team possiamo ricordare per Colazione Da Tiffany, La Caduta Delle Aquile e Contro 4 Bandiere, non si può certo dire che lo spessore del cast sia eccezionale. Il nome di richiamo del film fa il suo e basta, mentre intorno a lui solo Jan-Michael Vincent (Un Mercoledì Da Leoni) sembra abbastanza naturale nel suo personaggio. Paul Winfield (Star Trek II – L’Ira Di Khan, Terminator, Il Serpente E L’Arcobaleno), Dominique Sanda (Il Giardino Dei Finzi Contini, Novecento, Garage Olimpo) e il qui insopportabile Jackie Earle Haley (Che Botte Se Incontri Gli Orsi!, All American Boys, Un Weekend Da Leone, Watchmen, Shutter Island, Alita – Angelo Della Battaglia) sono rilevanti nel film, ma non certamente per fornire un contributo di livello. In tutti i personaggi è presente un innaturale distacco dalla distruzione completa del pianeta ed è assente qualsiasi dolore per la perdita dei propri cari e per le sofferenze a cui (teoricamente) si è sottoposti, per non parlare di una costante stereotipazione che rende gli attori molto distanti dallo spettatore.
L’Ultima Odissea è quindi un film da scartare? Se siete degli amanti delle rarità la risposta è no. Si tratta di un film dai molti limiti, ma una visione, senza attendersi chissà cosa, probabilmente la merita. Alcuni passaggi sono sicuramente degni di nota, specialmente quelli d’azione, e se la maggior parte del tempo si nota una già menzionata superficialità onnipresente, le trovate e lo sviluppo della storia rappresentano una particolarità che ha il suo perché.
Per chi cerchi qualcosa di più serio sulle guerre atomiche, il consiglio è di virare (nell’ordine) sul trittico The Day After, Testament e Threads: un progressivo pugno allo stomaco.