La Danimarca ci riprova con una serie di fantascienza, e il risultato è sempre lo stesso: un disastro completo, senza alcun appello.
Qualche mese fa ci siamo imbattuti in un film di zombi proveniente dal piccolo stato scandinavo. All’epoca bocciammo senza remore Infection – What We Become, una pellicola meno che mediocre, e additammo una possibile causa al carattere tipico dei danesi: molto chiuso, freddo, privo di emozioni visibili. The Rain prova a far di meglio, ma addirittura la prima stagione risulta ancora peggiore.
La cosa migliore di The Rain è senza dubbio l’ambientazione e la storia di fondo: la Danimarca viene investita improvvisamente da una pioggia mortale, che contiene un virus che uccide le persone praticamente sul momento. I nostri due protagonisti vengono ficcati al volo dentro un bunker nel mezzo della campagna danese dal padre, che sa cosa sta succedendo e non può rimanere con loro. La madre muore immediatamente (per la prima delle decisioni assurde che punteggiano la serie) e i due si trovano a restare bloccati per 6 anni all’interno del rifugio, privi di comunicazione con l’esterno.
La serie si presenta molto bene, ma ben presto ci si rende conto che la sceneggiatura fa acqua da molte parti; ed andando avanti nelle puntate la cosa va via via peggiorando, tanto che alla fine della prima stagione si ha l’impressione che ad aver scritto la trama sia un tredicenne catapultato nel mondo dello spettacolo.
Un peccato, perchè l’atmosfera per buona parte della prima stagione è discretamente realizzata; forse grazie alle buone scenografie, forse per la storia di fondo. Di certo gli attori non aiutano troppo la produzione; magari non sono dei cani completi, ma la recitazione lascia spesso a desiderare, soprattutto nel caso dei due protagonisti (Alba August e Lucas Lynggaard Tonnesen). Gli unici a dare l’impressione di cavarsela sul serio davanti alla macchina da presa sono alcuni comprimari, Mikkel Boe Folsdgaard e Angela Bundalovic su tutti; ma stiamo parlando comunque di emeriti sconosciuti.
Come anticipato, per tutta la durata della prima stagione i protagonisti fanno spesso scelte incomprensibili, sempre più numerose andando avanti nelle puntate e talvolta degne di un fumettaccio americano di bassissimo livello. Non solo; sembra che il mondo si sia quasi fermato e che possa riprendere a muoversi solo grazie alle gesta dello sparuto gruppo di sopravvissuti al centro dei riflettori. È vero che alcuni retroscena verranno rivelati nelle successive stagioni, ma la cosa sta veramente poco in piedi, specialmente quando poi ci troviamo ad assistere ad un finale di stagione assolutamente impossibile da digerire e da accettare se abbiamo due-dico-due neuroni ancora funzionanti nel cervello.
Io ho preferito fermarmi alla prima stagione (e la valutazione riguarda infatti solo quella), ma chi della redazione ha proseguito nella visione mi ha raccontato di una seconda stagione leggermente migliore e di una terza, conclusiva, assolutamente terribile; e vedendola tutta, gli influssi su The Rain si fanno evidenti: se si parte (bene) con un approccio fantascientifico tutto sommato che può stare in piedi, si finisce con lo sprofondare in un qualcosa che ricorda fin troppo il virus T di Resident Evil (ma almeno ci risparmiano gli zombi) e che scimmiotta i supereroi cattivi o mutanti.
Onestamente, mi sono fatto bastare la prima stagione. Otto puntate, le ultime due delle quali si passa il tempo a chiedersi se veramente stiamo vedendo quel che stiamo vedendo. No, le altre due stagioni (dodici episodi oltre agli otto della prima stagione) non ho intenzione di vederle: buttare tempo in cose brutte è un sacrilegio, esattamente come un sacrilegio è quello di Netflix che continua a mettere a catalogo delle porcherie inenarrabili.