The Residence: la recensione

Il re è nudo; qualcuno doveva dirlo! Perché questa serie creata da Paul William Davies è una fregatura colossale.

 

The Residence recensione

 

Otto sono gli episodi in cui la detective Cordelia Cupp deve risolvere lo spinoso caso del suicidio/non suicidio di A. B. Wynter; otto snodi di un complesso racconto di investigazione in cui il delitto dell’usciere capo della Casa Bianca diventa l’occasione perfetta per confezionare un prodottino preciso e patinato per tutti quelli che hanno letto i libri di Conan Doyle ed hanno giocato per ore al mitico gioco da tavola Cluedo. La regia è curatissima, le indagini si sviluppano alla perfezione con colpi di scena in successione dove il successivo amplia l’effetto dirompente di quello precedente e i dove dialoghi sono cesellati con la lima. E allora perché non siamo soddisfatti? Cosa non ci gira? Non gira proprio il fatto che tutto giri come se fosse un ingranaggio di un impeccabile orologio narrativo.

Non c’è nulla di più noioso della perfezione e lo dimostra una volta ancora questo titolo Netflix, che sembra il compito in classe del secchione del ginnasio. Se anche a voi piaceva saltare scuola per fare infinte partite a pallone con gli amici e preferivate le “chiuse” dell’ultima ora per strappare una sufficienza a fine anno, The Residence non è il prodotto per voi. E’ semplicemente tutto troppo finto: finto come l’eccentrica protagonista afro-americana che dovrebbe affascinarci come una moderna Poirot e che invece ostenta le sue stranezze in modo fastidioso. Le piace il bird watching, lo abbiamo capito. Ma vi prego… risparmiateci l’ennesima metafora uccello/uomo o ci butteremo dalla finestra senza avere le ali. La scelta di caratterizzare la detective con questa ossessione, infatti, è imbarazzante come quelli che si fanno i capelli fucsia e poi si straniscono se qualcuno si gira a guardarli. Sarebbe stato più interessante raccontare la nostra Cordelia come un’appassionata di padel o di calcio!

 

The Residence recensione

 

Ma questa non è che una delle mille forzature di questa serie. L’agente dell’FBI Park che spalleggia la donna assomiglia a Watson? Incredibile! I dialoghi tra i due indagatori sono rapide elucubrazioni di logica applicata al crimine? Sconvolgente! L’atmosfera noir è ammorbidita da battute politicamente scorrette e da personaggi irrealisticamente sopra le righe come Tripp? Effettivamente nessuno di noi ha mai visto Only Murders in The Building!

Qua non c’è un’idea che sia un’idea, ma la summa di tutto quello che questo genere vuole per essere considerato tale. Le armi del delitto sono stilizzate: lunghi coltelli da cucina, pesanti candelabri, veleni celati in antiche ampolle. Le ambientazioni (che poi sono le stanze dell’attuale casa di Trump) sembrano ideate da Agatha Cristie (tutto inizia nella sala del biliardo!). Il distacco con cui la Cupp affronta cadaveri, minacce e pressioni, poi, è a dir poco noioso in un mondo dove impazziamo anche solo se qualcuno ci frega il parcheggio all’Ikea.

E se non siete ancora paghi di tanta scolasticità, ecco arrivare i cameo di Hugh Jackman e Kylie Minogue, o almeno di quel che resta della versione originale di questa donna di cera che ha superato i cinquant’anni ma che ne dimostra sedici. Almeno avessero scelto uno dei due come assassino… ooops, abbiamo escluso due sospettati dalla lista ma, tranquilli, il vero colpevole sarà un vero colpo di scena.

Esattamente come deve essere secondo le regole auree di un genere abusato. Sperimentazione, questa sconosciuta.

 

The Residence, 2025
Voto: 4
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