Trump 2.0: cosa aspettarsi dopo le elezioni?

La riconquista della Casa Bianca da parte di Donald Trump apre grandi interrogativi circa le sue prossime mosse politiche.

 

 

A poco più di un mese dalla sua rielezione, sono ancora incerte le previsioni in merito alle future scelte di Donald Trump, ma qualche ipotesi si può azzardare.

Il principio dell’”America first”, che ha guidato la sua ultima amministrazione nel 2017, riecheggia ancora oggi come impulso alle scelte politiche del nuovo Presidente. In termini di politica interna, il faro dovrebbe infatti restare acceso sulle grandi aziende multinazionali; sulla scia dei tagli dell’ultima riforma fiscale del 2017, che ha ridotto l’aliquota di imposta dal 35% al 21% in favore delle imprese americane, ci si aspetta una ulteriore riduzione al 15%. L’obiettivo? Stimolare la crescita interna incoraggiando investimenti, nuovi posti di lavoro e aumentando il reddito disponibile per i consumatori.

I tagli fiscali rientrano nel più ampio disegno del protezionismo economico, che porta inevitabilmente con sé un inasprimento dei dazi alle importazioni al fine di ridurre il deficit commerciale e riportare la produzione negli USA. Gli stessi dazi, insieme a nuove iniezioni di denaro da parte della FED, dovrebbero ridurre la tanto temuta dipendenza dai prodotti esteri, in particolare cinesi. Sembrerebbe inoltre confermata la parallela deregolamentazione, già iniziata quattro anni fa, in termini di tutela e sicurezza ambientale a favore delle imprese ma a discapito dei cambiamenti climatici, della salute pubblica e dei diritti degli stessi lavoratori.
Tutto già previsto dal mercato. Ma se le previsioni dovessero rivelarsi corrette, che impatti avrà l’isolazionismo statunitense sulla politica estera?

Si parla di dazi nei confronti delle importazioni dall’Unione Europea intorno al 10%, con conseguenze pesanti sulla crescita attesa del PIL dell’UE (attualmente pari al 1% per il 2025). Di contro, l’apprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro potrebbe rappresentare per la BCE un recupero di competitività per le esportazioni. Basterà a fermare i tagli ai tassi e a metter un freno alla politica monetaria restrittiva dell’UE? C’è da considerare infatti anche il cambio di rotta di Trump, rispetto al suo predecessore, in termini di conflitto Russia-Ucraina e in Medio Oriente che comporterebbe, per l’Europa, il rischio di sostenere da sola (o quasi) il peso della guerra.

Le ragioni delle posizioni trumpiane così apertamente anti-conflitto sono da ricercarsi (ovviamente) in opportunità di rapporti commerciali e relazioni economico-finanziarie in Arabia Saudita (secondo produttore mondiale di greggio e quinto per acquisto di armi) e al mantenimento di rapporti “distesi” con la Russia. Non sono da dimenticare, infatti, gli elogi pubblici rivolti da Trump al presidente Putin, posizioni politiche percepite come favorevoli alla Russia, e il presunto ruolo della stessa nel favorire la vittoria di Trump nelle elezioni del 2016.

 

 

Se per l’UE il quadro è ancora incerto, più netta è invece la posizione di Trump nei confronti della Cina.
Nonostante l’alta probabilità di un aumento delle tariffe commerciali, rimangono incerti i tempi e l’entità dei dazi che potrebbero essere applicati sulle importazioni di prodotti cinesi. La minaccia di tariffe fino al 60%, infatti, potrebbe anche spingere verso un nuovo ciclo di negoziati, con dazi ridotti o a un incremento delle esportazioni statunitensi verso la Cina; tutte scelte che si ricollegano al precedente piano di de-globalizzazione rispetto ai prodotti esteri, in particolare cinesi, iniziato durante l’ultimo mandato e ripreso oggi. L’intento è quello di ridurre la dipendenza dagli approvvigionamenti cinesi, in particolare per settori critici come tecnologia, farmaceutica e componenti industriali. Parallelamente, sono attesi nuovi incentivi per le imprese che producono negli Stati Uniti e penalità per quelle che delocalizzano all’estero.

Rispetto al passato, però, è possibile individuare qualche prima differenza in termini di scelte politiche, nonostante la “giovane età” di questo secondo mandato non ancora iniziato.
Ad esempio, nel 2016, la sicurezza tecnologica (cybersecurity) non costituiva una priorità chiave. Oggi l’avvento dell’intelligenza artificiale e dell’innovazione tecnologica potrebbero portare il nuovo Presidente a focalizzarsi su misure di tutela rivolte alle industrie tecnologiche americane e a inasprire le restrizioni rispetto all’acquisizione di tecnologie critiche cinesi.
Anche il tema dell’inflazione e del costo della vita non erano centrali in fase di pre-pandemia. Il COVID-19 ha costretto l’amministrazione Biden a politiche di spesa pubblica eccessive ed onerose che Trump ha aspramente criticato e che potrebbe drasticamente rivedere reintroducendo un maggiore controllo della spesa federale e politiche energetiche più aggressive.

Rimane poi il concetto del tanto temuto ritorno al carbone e all’estrazione di petrolio e gas come fonte di energia primaria. Rispetto al 2016, però, l’idea è stata riformulata in termini di indipendenza energetica: Trump critica, infatti, le politiche ambientali di Biden (come il Green New Deal) e promette di rilanciare la produzione di energia fossile per abbassare i costi dell’energia e creare posti di lavoro.

Indubbiamente le scelte della nuova amministrazione Trump dovranno tenere conto, rispetto al 2016, delle conseguenze della crisi pandemica del 2020. Ad oggi, sembrerebbero incentrate sul conflitto economico con la Cina e sul rafforzamento delle catene di approvvigionamento nazionali. Di fatto, Trump rimane un unilateralista che sostiene che gli Stati Uniti debbano ridurre il proprio coinvolgimento nelle istituzioni globali per destinare le proprie risorse verso interessi nazionali diretti. Le sue politiche hanno spesso privilegiato azioni simboliche e tattiche di pressione economica; è probabile che la linea rimanga la stessa, tenendo però conto delle nuove sfide geopolitiche, come la Cina, il conflitto in Ucraina e in Medio Oriente e l’impatto delle nuove tecnologie.

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