Tutto tace sul fronte microcriminalità

Dopo due anni e mezzo di governo, Giorgia Meloni deve ancora imprimere un netto cambio di passo su uno dei temi più cari ai suoi elettori.

 

 

La microcriminalità è uno di quegli odiosi fenomeni che negli ultimi anni sono cresciuti. Grazie ad una impostazione giudiziaria permissiva verso chi delinque e paradossalmente più dura con chi reagisce, l’Italia è diventato un luogo dove rapinatori, scippatori e truffatori possono tranquillamente compiere le loro azioni consapevoli di rischiare poco o nulla.

Il governo di centrodestra è stato scelto dagli elettori, fra le altre cose, anche per mettere un freno all’ondata dilagante di rapine e furti; eppure, finora non si è vista alcuna azione concreta da parte dell’esecutivo Meloni oltre al cosiddetto “decreto Caivano”, misura peraltro unicamente indirizzata alla riqualificazione sociale di aree depresse. Paradossalmente, in questi due anni e mezzo la situazione è addirittura peggiorata: come avevamo ampiamente previsto, la riforma Cartabia partorita dal governo Draghi non ha messo mano al punto debole di tutta l’impalcatura giudiziaria corrente, e cioè la condanna superiore a quattro anni prima di essere messi in carcere. Perché l’attuale esecutivo non ha fatto ancora nulla in merito?

 

 

Una possibile spiegazione c’è, ma di certo non può far felici gli elettori di centrodestra. È plausibile che Giorgia Meloni, vista la terra bruciata fatta dal centrosinistra in campagna elettorale ed il clima internazionale di sospetto e di isolamento con cui il governo di centrodestra si è trovato a confrontarsi, non abbia voluto spingere subito sull’acceleratore. È possibile che la strategia del governo fosse quella di dimostrare affidabilità ed autorevolezza prima di tutto all’interno dell’Unione Europea, quella casa-prigione che condiziona le scelte politiche nazionali dei suoi membri, prima di attuare riforme che inevitabilmente avrebbero provocato reazioni e strumentalizzazioni sia da parte delle opposizioni che da quella parte di società civile che nell’illegalità ci sguazza. Ed è altrettanto possibile che, proprio per quest’ultima ragione, ci sia un fronte trasversale anche all’interno della maggioranza che sia ostile ad una riforma che rafforzi il concetto di certezza della pena.

 

 

A questo punto però Giorgia Meloni non può aspettare oltre. Uno Stato sano è uno Stato che punisce chi delinque, e l’Italia dell’elettorato di centrodestra vuole sicuramente legge e ordine. Quindi perché non iniziare a lavorare su di una riforma doverosa e al contempo tanto semplice? Perché non cominciare a costruire nuove carceri, prima che su un fantastichevole ponte sullo Stretto di Messina, per ovviare alla massa di criminali oggi circolanti sul territorio italiano e rendere contemporaneamente più agevole la vita degli operatori penitenziari? E perché non pianificare queste nuove costruzioni in modo da poterle in futuro riconvertire se non dovessero più essere necessarie come penitenziari?

 

 

Giorgia Meloni sta tutto sommato facendo un buon lavoro al timone dell’Italia; ma questa mancanza di azione sul tema della microcriminalità é inaccettabile. Che temporeggi per usare questa carta come tema ad effetto per le elezioni politiche del 2027 o che temi un voltafaccia da parte di alcuni elementi della maggioranza, l’attuale Presidente Del Consiglio non ha scuse: gli italiani meritano fatti concreti, senza ulteriori ritardi.

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