Un’altra miniserie sulla Guerra in Irak; almeno questa colpisce nel segno?
Non molto tempo fa abbiamo parlato di The Long Road Home, serie ambientata nella seconda guerra irachena, con toni non molto entusiasti. È quindi con parecchia speranza che mi sono avvicinato a Generation Kill, consigliatomi da conoscenti appassionati del genere. Generation Kill segue le vicende di un plotone di esploratori durante l’invasione dell’Irak che portò al crollo del regime di Saddam Hussein nel 2003. A bordo dei loro Humvee entreremo a contatto con le varie personalità e gli aspetti logistico-militari che a volte vengono tralasciati nei racconti di guerra.
Basato sul libro del giornalista del Rolling Stone Evan Wright, il cui personaggio è incluso nel cast della miniserie, Generation Kill è un prodotto che lascia perplessi. Chi si aspetta intensi scontri a fuoco rimarrà deluso, visto che ce ne sono ma pochi e brevi. La maggior parte del tempo viene impiegata per tratteggiare i carattere dei soldati, le loro problematiche e i rapporti interpersonali. Quello che riguarda la gerarchia di comando, gli ordini e i comportamenti dei superiori è spesso messo in ridicolo, conferendo a tali personaggi auree degne dei più classici film antimilitareschi (sebbene alcuni loro comportamenti sono spiegati proprio al termine della serie). Anche la struttura stessa dell’esercito, con le sue direttive e le sue contraddizioni, viene descritta in modo analogo.
Manca completamente la tensione che ci si aspetterebbe di vivere in una miniserie di guerra. Il ritmo non è mai lento, ma nella ricetta manca decisamente qualcosa. È una storia che non decolla mai, ed è un peccato perchè il potenziale era molto alto. È evidente che il taglio dato dall’autore del libro e coproduttore della serie è indirizzato ad un pubblico più vicino alle posizioni degli elettori Democratici rispetto che a quelli Repubblicani.
Generation Kill riesce però a non risultare irritante agli occhi di un appassionato di vicende belliche. Concentra la sua attenzione sui singoli, e da questo punto di vista i registi Susanna White e Simon Cellan Jones ottengono probabilmente quanto desiderato. Rimane però vero che certe scene di combattimenti sono ridicolmente artefatte (da quando in qua si carica a piedi un nemico trincerato, e lo si fa spalla a spalla con i compagni?).
La fotografia è più che buona, con riprese adatte alle varie situazioni, che siano di combattimento o di riposo.
Il cast non è stellare ma porta a casa la pagnotta con recitazioni asciutte e tutto sommato credibiili. I migliori, in questo senso, sono sicuramente Stark Sands, Alexander Skarsgard, James Ransone (divertentissimo) e Chance Kelly.
In conclusione Generation Kill non entusiasma mai, ma si lascia vedere fino in fondo. È una delle tante occasioni mancate che la cinematografia recente ci consegna, ed è un peccato: si poteva fare molto di più con quanto a disposizione.