I nuovi accordi per il gas: i compromessi italiani

La caccia alle forniture di gas e petrolio è aperta e frenetica in Europa, avvolta dagli spettri del collasso energetico e della riduzione dei consumi.

 

 

L’Italia, fortemente dipendente dalle forniture di gas russo, è in cerca di asset economici in grado di garantirle uno scudo energetico tale da poter resistere ad un eventuale stop delle forniture di gas da parte della Russia, che potrebbe giocarsi questo pesantissimo asso nella manica in caso di drastiche svolte sul fronte ucraino.

Nonostante il costante invito anti-allarmista rivolto ai Paesi europei dagli Stati Uniti, certi di poter sopperire in larga misura alla possibile carenza energetica europea grazie al loro gas liquefatto da esportazione, molti Stati del vecchio continente si sono immediatamente mossi per stringere nuovi accordi energetici, o per incrementare quelli già attivi.

Per prossimità geografica e presenza di infrastrutture consolidate, l’Italia ha bussato sin da subito alla porta dell’Algeria, già secondo fornitore di gas dell’Italia con 29 miliardi di metri cubi di gas all’anno.

L’accordo è stato siglato dall’azienda di stato algerina Sonatrach e dall’amministratore delegato di ENI Claudio Descalzi per conto del Ministero dell’Economia, e prevede un aumento di 4 miliardi di metri cubi di gas già da quest’anno, e di 9 miliardi entro il 2024, numeri che diminuirebbero la dipendenza italiana dal gas russo di un terzo.

 

 

Ovviamente le riserve algerine, destinate ad un’importazione diversificata ed imparagonabili quantitativamente alle sconfinate riserve russe, non possono soddisfare completamente il fabbisogno energetico italiano e, per scongiurare un’eventuale crisi energetica, lo Stato italiano ha guardato oltre l’Algeria, ponendosi l’immediatezza delle forniture come principale criterio per la ricerca di partner energetici.

L’Egitto di Al-Sisi ha soddisfatto i criteri di questa ricerca, e la proposta di una fornitura di 3 miliardi di metri cubi di gas liquefatto all’anno, tramite navi metaniere dirette dall’Egitto all’Italia, si è tramutata in un accordo, siglato la scorsa settimana dal presidente di Egas, Magdy Galal, e dal direttore generale Natural Resources di Eni, Guido Brusco.

L’accordo, oltre alle forniture di gas liquefatto, prevede un incremento delle operazioni di ricerca e sviluppo da parte di ENI nelle aree egiziane del deserto occidentale e del Mediterraneo orientale, al fine di massimizzare le risorse offerte dal sottosuolo egiziano.

La firma ha suscitato non poche polemiche in Italia, e parte dell’opinione pubblica ha manifestato la sua indignazione accusando il governo di voler sopperire alle forniture di gas russo con le forniture di gas di altri paesi altrettanto dittatoriali.

L’Italia infatti, dopo Algeria ed Egitto, ha proseguito la sua caccia alla forniture di gas anche in Qatar e Congo, due Paesi la cui fenomenologia politica in molti casi non rispetta diversi diritti civili e politici dell’essere umano.

L’etica nell’economia di stato è un problema piuttosto comune nelle grandi democrazie occidentali, spesso infatti vi è la necessità per questi Stati di sporcarsi le candide vesti di difensori dei diritti e di portatori di democrazia nella melma di un mercato globale guidato dalla competitività e dalla convenienza.

Tutte le grandi democrazie occidentali intrattengono rapporti commerciali alla luce del sole con stati lontani dall’ideologia liberal-democratica: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Azerbaijan e Russia sono alcuni dei casi più emblematici di come il vantaggio economico permetta di guadare, senza eccessivi sforzi morali, il torrente di diritti umani che separa le due sponde.

Ad aggravare la posizione dell’Italia in merito all’accordo stipulato con l’Egitto di Al-Sisi c’è poi la vicenda di Giulio Regeni, il ricercatore italiano che, secondo il Parlamento Europeo, è stato una delle vittime del regime di Al-Sisi, accusato di aver organizzato in maniera sistematica sparizioni, torture e morti nelle carceri.

 

 

Un braccio di ferro fra Procura italiana e magistratura egiziana durato 4 anni, caratterizzato da una crescente tensione nei rapporti e scevro di un finale veritiero di cui dovrebbe godere ogni uomo vittima di omicidio.

L’Egitto e l’Italia si sono scambiati accuse per un lungo periodo, e Al-Sisi ha fatto leva su questo deterioramento dei rapporti istituzionali affermando che proprio il deterioramento è l’obiettivo a cui aspiravano i Fratelli Musulmani, un’organizzazione panislamista accusata di terrorismo dal governo egiziano, con l’intento di destabilizzare la politica e le relazioni internazionali del Paese nordafricano.

Le intenzioni che traspaiono dalle parole di Al-Sisi sono di non voler cessare i rapporti politici ed economici con l’Italia, partner fondamentale per prossimità e mole di scambi, ma allo stesso di non voler cedere alle accuse, le quali rischierebbero di sollevare il coperchio del vaso di Pandora della politica egiziana, ancora troppo scioccata dalla Primavera Araba per cedere in termini di diritti.

Dal canto suo, l’Italia ha scelto di scindere la situazione Regeni dalle necessità dettate dalla crisi energetica in maniera molto cinica, seguendo scrupolosamente un’agenda che mette al primo posto fra le priorità la sostituzione del gas russo in tempi rapidi e certi.

Il caso di Giulio Regeni non verrà ovviamente dimenticato a causa di questo accordo. Non verrà tuttavia dimenticato neanche il sapore aspro di questo compromesso raggiunto, necessario sì, ma probabilmente non indispensabile visti i precedenti diplomatici e la scarsità dell’apporto di gas pattuito in relazione alla possibile mancanza.

 

 

Il compromesso è però affare ben noto in Italia, e parte dell’architettura politica, sociale ed economica di questo Paese si potrebbe dire che si fondi proprio su una strategia di compromessi: quello storico fra DC e PCI, finito nel sangue; quello fra Stato e Mafia, iniziato nel sangue; o quello Lateranense, per una questione di sangue.

La verità, la coerenza e la trasparenza qualche volta possono essere bolle d’aria nel motore dello Stato; citando Toni Servillo nelle vesti di Giulio Andreotti nel film di Paolo Sorrentino Il DivoTutti a pensare che la verità sia una cosa giusta, e invece è la fine del mondo, e noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta.”

 

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