Che senso ha fare una battaglia diplomatica contro l’Egitto quando in campo internazionale non siamo in grado di difendere gli interessi economici nazionali?
Credo che tutti ormai sappiano chi sia Patrick Zaki, un egiziano studente all’università di Bologna detenuto nelle carceri egiziane da febbraio 2020. La sua situazione è stata immediatamente ripresa dagli organi di stampa italiani ed amplificata per via del suo attivismo sui diritti umani e sulla sua vicinanza ai gruppi gay e di protesta contro il governo egiziano. A suo carico, i servizi segreti egiziani imputano la minaccia alla sicurezza nazionale, sovversione e terrorismo.
Non voglio entrare nel merito dell’arresto e del fatto che a sentire i suoi difensori Zaki abbia subito torture; voglio valutare la situazione da un punto di vista più ampio.
La vicenda di Patrick Zaki è strettamente legata a quella di Giulio Regeni, sulla cui sorte già sappiamo ma sulla quale molti dettagli sono stati taciuti; e un problema del nostro tempo è che le persone non si chiedono più perché le cose accadano.
Giulio Regeni è stato probabilmente rapito dai servizi segreti egiziani, probabilmente torturato ed infine ucciso. Ma è normale che si prenda un ragazzo qualsiasi e gli si faccia fare questa fine? Si può veramente pensare che i servizi egiziani, non certo un Paese fermo all’età della pietra, commettano un errore così grande e scambino uno studente per una spia impegnata a reperire informazioni?
Sui retroscena di Giulio Regeni una parte della nostra politica, quella al governo al momento della vicenda, ha preferito non indagare; similarmente, gli organi di stampa hanno sottaciuto o minimizzato sui probabili contatti fra Regeni ed i servizi inglesi, sulle possibili implicazioni collegate alla, a quel tempo concomitante, guerra civile in Libia e sulle probabili ingerenze dei servizi francesi.
Sul passato di Patrick Zaki invece non si sa moltissimo; oltre a quanto detto dal governo egiziano in merito ad un suo coinvolgimento in manovre antigovernative, di sicuro ci sono la sua vicinanza con la famiglia Regeni ed il suo già citato attivismo vicino alle formazioni di sinistra. Non è quindi un caso che siano stati proprio intellettuali, politici e giornalisti di sinistra ad alzare un polverone sulla sua vicenda.
Cerchiamo di essere onesti intellettualmente. Di Patrick Zaki, nel mondo, ce ne sono centinaia. Sul Myanmar in Italia non si è mosso un dito, perché strategicamente ed economicamente l’ex Birmania non vale assolutamente nulla. Ma lo stesso vale anche per i dissidenti cubani, o per quanto la Cina sta facendo ad Hong Kong, fino ad arrivare alla vicenda Navalny: in tutti questi casi la sinistra italiana non ha messo la faccia ed è rimasta in silenzio. Perché?
La risposta è ovvia. La Russia e la Cina sono due delle tre potenze mondiali che possono fare il bello ed il cattivo tempo, mentre l’Egitto ha peso solo localmente; ma nel Mediterraneo e nello scacchiere medio orientale ha una funzione non certo indifferente, visto che da sempre è uno dei paesi islamici più moderati. Il Paese sta facendo quindi da ponte con l’Occidente, ed il suo attuale governo si è fermamente opposto (anche con misure non del tutto democratiche) all’avanzata dell’Islam radicale. Forse questo è il peccato originale che vede una sinistra italiana pronta a sostituire la tradizione italiana con quella degli immigrati?
Il voler concedere la cittadinanza a Zaki è solo una ripicca per l’affare Regeni e la solita battaglia radical chic che preferisce l’ideologia alla ragione di stato.
L’Italia, negli ultimi dieci anni, ha completamente perso il suo ruolo strategico di faro nello scacchiere del Mediterraneo, cedendo completamente il primato a Francia e Turchia. Per questo bel lavoro dobbiamo ringraziare i governi che si sono succeduti dopo l’ultimo Berlusconi: Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte I e Conte II. Dieci anni di ignavia che hanno visto come unico momento di rivalsa il tentativo di Salvini di bloccare l’immigrazione incontrollata.
La ragion di stato deve andare oltre le ideologie e le miopi scelte di parte. A distruggere le relazioni internazionali ci vuole pochissimo, e ricostruirle costa molta fatica; qualcosa ne sa Santo Draghi, con la sua uscita sul “dittatore Erdogan”: condivisibile il pensiero, affatto il modo (sei il Presidente del Consiglio, cosa diavolo ti è passato per la testa?).
Voler fare una guerra diplomatica con l’Egitto, con il coinvolgimento dei servizi segreti inglesi, non ha veramente senso in un periodo in cui l’Italia non ha assolutamente prestigio internazionale. Se vuole ricominciare a contare qualcosa deve assolutamente ricominciare a tessere le trame della diplomazia internazionale, possibilmente grazie a politici degni di tal nome a capo di ministeri ed istituzioni rilevanti, e non miracolati e saltimbanchi di varia natura.