Ricordiamo le tre leggende del rock and roll Buddy Holly, Ritchie Valens e Big Bopper nel 65° anno dalla loro scomparsa in un incidente aereo.
Una leggera nevicata scende dal cielo, frenando i primi raggi di sole che timidamente sfidano l’inverno. I pochi fiocchi si dividono il terreno dove le radici di granturco sopravvissute al raccolto affiorano appena, custodendo la terra ai germogli che verranno. Il campo ordinato si stende nella nebbia, ed oggi la sua quiete sta per interrompersi ancora una volta: la volante dello Sceriffo della Contea di Cerro Gordo sfreccia tra i solchi, seguita da una lunga ambulanza bianco perla, che poco si vedrebbe nel gelido scenario se non fosse per gli appariscenti lampeggianti rossi. Il convoglio si ferma. Il vice Sceriffo Bill McGill scende dalla vettura; a pochi passi da lui sono supini tre uomini ed il rottame accartocciato di quel che poco prima doveva essere un piccolo aereo. Su una lamiera rossa si distingue l’identificativo N3794N.
È la mattina del 3 febbraio 1959, ovvero del giorno che passerà drammaticamente alla storia come “il giorno in cui morì la musica”.
Nel primo dopoguerra ed in particolare nel secondo, la musica ha rappresentato il primo mezzo di espansione culturale attraverso cui l’Inghilterra e gli Stati Uniti hanno esportato sé stessi nell’Europa ad ovest del “muro” e nel resto del mondo. Il jazz prima ed il rock and roll dopo sono stati tra i protagonisti di questa “offensiva culturale”; offensiva talmente efficace che, se volessimo tornare indietro con la mente agli anni ’50-’60, il primo pensiero non andrebbe che alla musica del tempo. Ritorniamoci quindi agli anni ’50: è il tempo della guerra di Corea, dello Sputnik, della rivoluzione Cubana e del terrore per la guerra guerra atomica; ma sono anche gli anni di cose più frivole.
È in questo periodo che sorgono le grandi star del rock and roll: trasgressivi, innovativi e forti dell’energia della loro musica. Parliamo di pionieri come Bill Haley, Bo Didley, Chuck Berry e Little Richard che seppur godettero di fama più modesta rispetto alle rockstar cui siamo abituati (fatta eccezione per “Il Re” Elvis Presley), influenzarono in maniera determinante il loro genere e l’intera produzione musicale di là da venire.
Questi artisti sono riusciti a splendere non solo per il loro indubbio talento, ma perché, influenzati dai generi più disparati (jazz, blues, R&B, country, etc.), hanno immaginato qualcosa di assolutamente nuovo, qualcosa che non ha avuto forma e che non è esistito per nessuno finché questi non si sono esibiti la prima volta.
Buddy Holly si esibisce con i Crickets al The Ed Sullivan Show nel 1957
Buddy Holly
Charles Hardin Holley, conosciuto con il nome d’arte Buddy Holly, è tra queste stelle: nasce nel 1936 a Lubbock, Texas, ed impara a suonare sin da piccolo con i suoi fratelli. Nei primi anni ‘50 già si esibisce, apparendo già all’età di 16 anni anche su delle reti locali. Holly suona in coppia con altri musicisti, ma si tratta di brevi esperienze. Suona principalmente da solista finché, nel 1956, non si unisce ai The Crickets; con loro incide l’album The “Chirping” Crickets, una pietra miliare del rock and roll. In questo periodo Holly registra alcuni dei brani più celebri come That’ll Be the Day, Peggy Sue o Everyday, hit indimenticabili ancora oggi. Tra il 1957 ed il 1958 si dedica con i Crickets ad intensi tour in tutto il mondo, dall’Europa all’Australia. Nel 1958 si sposa con Maria Elena Santiago e dopo pochi mesi rompe con il suo produttore, Norman Petty, per questioni legate alla gestione degli incassi e delle royalties. L’attrito con Petty ed il desiderio di allontanarsi dalla piccola Lubbock a favore delle possibilità offerte da una città come New York, lo costringono a separarsi dai Crickets, che invece preferiscono restare nella loro Lubbock. Nonostante i successi Holly non si trova in buone acque: la moglie aspetta un bambino e deve mantenere tutta la famiglia a New York. Holly si rivolge ad una nuova casa discografica, la General Artists Corporation (GAC), poiché sta organizzando un tour in Inghilterra ed è un’occasione da non perdere.
La ripresa fa parte di una serie di esibizioni che Big Bopper volle registrare.
Queste sue riprese vengono considerate i primi “music video”.
The Big Bopper
Big Bopper, pseudonimo di Jiles Perry “J.P.” Richardson Jr., classe 1930, nasce a Beaumont, Texas. Si avvicina al mondo della musica ai tempi del college: entra in una band e canta nel coro del Lamar College. Appassionato di tutto ciò che ruoti attorno alle note lavora nel tempo libero per una emittente radiofonica come disc jockey, finché nel 1949 non lascia gli studi per dedicarvisi a tempo pieno. Fare il disc jockey in questi anni richiedeva non solo grande talento come intrattenitore, ma anche una grande cultura musicale, fondamentale per individuare al volo i brani da passare in onda (nel film American Graffiti c’è una iconica rappresentazione di Wolfman Jack che interpreta sé stesso nei panni del DJ e rende bene l’idea del mestiere in quegli anni). Nel 1955 è chiamato alle armi e torna alla vita civile nel 1957 riprendendo l’attività in radio col nome di “The Big Bopper” ricevendo grandissima risposta dal pubblico. Nella sua carriera rompe diversi record: nel 1957 esegue la più lunga trasmissione radiofonica senza interruzioni, rimanendo in onda per 5 giorni, due ore ed otto minuti. Bopper è inoltre autore e soggetto del primo video musicale, coniando perfino il termine “music video”; si immaginava che nel prossimo futuro si sarebbero diffusi dei jukebox disposti di schermi e voleva essere pronto per quel momento.
Incomincia a scrivere canzoni per altri artisti che diventano subito popolari, come White Lightning. Nel 1958 incomincia ad incidere brani come la Chantilly Lace, The Big Bopper’s Wedding e Little Red Riding Hood, tutte hit che spopolano negli Stati Uniti.
Ritchie Valens
Richard Steven Valenzuela, noto al pubblico come Ritchie Valens, nasce nel 1941 in California da una famiglia latina. Influenzato dalla musica mariachi e dall’R&B, il suo amore per la musica nasce sin da piccolo. Impara a suonare da una chitarra rotta con sole due corde (quasi come George Harrison che, senza saperlo, suonò una chitarra senza due corde finché non incontrò Paul e John), ma la passione è tanta che la ripara e da mancino impara a suonarla con la destra. A quindici anni, nel 1957, il cielo della sua città (Pacoima, Los Angeles) è luogo di un incidente fra due aerei che si schianteranno sulla sua scuola lasciando otto morti e settantacinque feriti. Colpito profondamente, comprende che nella brevità dell’esistenza è meglio dedicarsi alle proprie passioni: la strada della musica si consolida e si fa notare con la chitarra tra i banchi di scuola. Entra in un gruppo, i “The Silhouettes”, e con loro si esibisce le prime volte sul palco nel 1957. Nel 1958 viene notato da Bob Kean, proprietario della piccola casa discografica Del-Fi Records, il quale aveva sentito parlare di un giovane soprannominato “Little Richard”. Gli consiglia un nome d’arte: Ritchie Valens, per distinguerlo dai troppi “Richard” e nasconderne le origini latine (all’epoca spesso malviste). Incomincia così a registrare le prime canzoni a partire da Come On, Let’s Go e poi a seguire con hit come Donna, We Belong Together e soprattutto La Bamba, che da sola venderà un milione di copie e per cui otterrà il disco d’oro.
“Winter Dance Party” tour
Nel 1959, mentre Holly attende la sua tournée europea, gli viene offerta dalla GAC un ben più modesto tour invernale. Si tratta del “Winter Dance Party”, un tour intenso nel gelido Midwest e composto da 24 tappe in 24 giorni, senza momenti di riposo, dal 23 gennaio al 15 febbraio. Per l’occasione Holly organizza una nuova formazione, composta da Carl Bunch, Tommy Allsup e Waylon Jennings, mantenendo però il nome The Crickets. Inoltre si uniscono altri musicisti, altre stelle nascenti del panorama del rock and roll, ben richiesti dal pubblico e pronti a cavalcare il successo delle loro recenti hit. Si tratta di Dion and the Belmonts, Big Bopper, Ritchie Valens e, meno noto, Frankie Sardo.
Il 23 gennaio gli artisti si mettono in marcia verso la prima destinazione della tournée, ovvero Milwaukee, ma sin dall’inizio emergono delle potenziali criticità che finiscono per tormentare i musicisti minando il proseguimento stesso delle esibizioni.
A sx: mappa delle prime e confuse undici tappe (fonte: history-of-rock.com).
Al centro: Holly vicino ad uno dei bus durante il tour (fonte: history-of-rock.com).
A dx: Holly, in fondo al bus (fonte: angelfire.com)
Attraverso il Midwest
L’inverno del 1959 si manifesta particolarmente rigido nel Midwest: la neve e le tormente assalgono la regione ed i termometri gelano con temperature ben al di sotto dello zero, tra i meno venti e i meno quaranta gradi centigradi. Il tour viene mal organizzato senza tenere conto di nulla, ma pensando unicamente a ridurre all’osso ogni spesa. Per risparmiare ci si affida al trasporto in bus e le città da visitare sono dislocate tra sei stati americani, e nel fissare le tappe non si pensa a disegnare un percorso efficiente, costringendo così i musicisti a percorrere un inutile e confuso zig-zag. Come se non bastasse il Midwest non è ancora dotato di una comoda rete di strade interstatali, e per gli spostamenti si può fare affidamento solo su strade secondarie.
Ogni giorno i musicisti devono affrontare tra le 10 e le 12 ore di viaggio prima di esibirsi. Stremati devono perfino provvedere da soli allo scarico ed il movimento delle strumentazioni, non avendo ingaggiato nessuno che li possa assistere. Ma l’ostacolo principale sono le strade stesse, strette strade secondarie rese ostili dal maltempo che mettono in difficoltà sia i bus che i passeggeri. Il bus noleggiato inizialmente cede presto alle difficoltà: i guasti sono frequenti, tanto che solo nei primi undici giorni cambiano ben cinque mezzi. I bus su cui viaggiano sono inadeguati per le tratte dure, e capita di viaggiare su vecchi bus scolastici ricondizionati, non in ottimo stato e non adatti a viaggiare a quelle temperature. I guasti coinvolgono anche i sistemi di riscaldamento: a bordo gelano tutti, Bopper e Valens si ammalano e Carl Bunch è costretto al ricovero in ospedale con segni di un grave principio di congelamento ai piedi, in particolare alle dita.
Surf Ballroom, Clear Lake
Nonostante le difficoltà gli artisti continuano ad esibirsi, ed il 2 febbraio arrivano a Clear Lake, Mason City, Iowa, per il dodicesimo show. Si doveva trattare in realtà dell’unico giorno di sosta del tour, ma la produzione riesce all’ultimo minuto a contattare Carrol Anderson, il gestore del Surf Ballroom, riuscendo a fissare uno spettacolo. Com’è facile immaginare l’umore generale tra i musicisti è pessimo: stremati dalle tratte, dal freddo, dai malanni e dalla mancanza di riposo; fra tutti dilaga un forte nervosismo. La mattina seguente avrebbero dovuto raggiungere Moorhead, attraversando due città già visitate. Holly, spazientito, si rifiuta di affrontare il tragitto in strada e si fa quindi aiutare da Anderson per contattare il vicino aeroporto di Mason City. C’è la possibilità di partire in serata per l’aeroporto di Hector, Fargo, vicino Moorhead, e lì attendere il bus che passerebbe a prenderlo prima dello show. Sarebbe l’occasione perfetta per evitare ulteriori stress e guadagnare qualche ora di riposo.
A sx: Richardson, Valens e Holly durante il tour.
A dx: l’ultima esibizione al Surf Ballroom (fonte: museo Surf Ballroom).
L’aereo
Dall’aeroporto però comunicano che ci sono solo tre posti sull’aereo, quindi Holly prenota i posti per i ragazzi della sua formazione, Jennings e Allsup, e finita la serata si rivolge agli altri rivelando la decisione di raggiungere Fargo in aereo.
Dion rifiuta categoricamente la possibilità di partire in aereo, valutando troppo elevato il prezzo del biglietto (36 dollari dell’epoca), mentre gli altri sono più interessati: Richardson, che è ammalato, chiede a Jennings il suo posto sull’aereo e questi accetta; in tutta risposta Holly lo incalza scherzosamente “Bene, spero che il tuo dannato bus congeli” e Jennings, sempre a tono di scherzo, gli risponde “Bene, spero che il tuo vecchio aereo si schianti!”. Nel frattempo anche Valens, benché abbia tremenda paura di volare (memore dell’incidente del ‘57), chiede ad Allsup il suo posto ed i due si accordano per giocarselo a testa o croce. Charlie Boone, un disc jockey che stava trasmettendo via radio lo spettacolo, si occupa di tirare la moneta prima che i musicisti lascino il locale: Valens sceglie testa ed è proprio in suo favore che cade la moneta. Valens si guadagna il posto sull’aereo ed esclama “è la prima volta che vinco qualcosa in vita mia!”.
È passata la mezzanotte, è il 3 febbraio. Una leggera nevicata cominia a scendere dal cielo quando i tre musicisti escono dal locale; salgono sulla macchina di Anderson che li accompagna alla pista di Mason City. Ad attenderli c’è un piccolo monomotore con impennaggio a V (ovvero che non ha in coda la deriva verticale, ma solo gli stabilizzatori orizzontali che sono inclinati in alto così da svolgere anche la funzione della deriva), un Beechcraft V35 Bonanza. A bordo un uomo è chino sull’apparecchiatura di bordo: si tratta di Roger Peterson, un giovane pilota di 21 anni. Dopo una rapida presentazione i tre, emozionati ed infreddoliti, salgono a bordo. Alle ore 00:55 l’aereo riceve il via per decollare dalla torre di controllo. Hubert Jerry Dwyer, gestore dell’aeroporto, osserva il decollo ed il volo dell’apparecchio seguendo la sua luce di coda finché non svanisce all’orizzonte. Verso le 01:00 Dwyer tenta di stabilire il regolare contatto radio di controllo, ma non ottiene alcuna risposta.
Ripresa del luogo dell’incidente.
Il volo
Alle 03:30 Dwyer contatta quindi l’aeroporto di Hector, sperando gli diano notizia del Bonanza di Peterson, ma gli comunicano che non è atterrato alcun aereo. Dwyer, già preoccupato, si rende conto che qualcosa è andato storto e la mattina decolla dall’aeroporto seguendo le rotta intrapresa dal Bonanza ore prima. Ecco che alle 09:30, ad appena 10km a nord-ovest dalla pista intravede ciò che presume siano i resti dell’aereo.
Le autorità vengono avvisate dell’accaduto e la volante del vice sceriffo Bill McGill è la prima ad arrivare sul luogo dell’incidente. L’aereo si è schiantato in un campo di granturco e, nonostante la neve, i segni dell’impatto sono evidenti. L’aereo senza più forma è per metà in verticale e domina sulla macabra scena. L’ala destra impattando si è staccata dal monomotore e mostra evidenti i segni di riconoscimenti dell’aereo di Peterson. Attorno al relitto sono riversi tre corpi, sbalzati violentemente durante l’impatto: Valens ed Holly sono i più vicini all’apparecchio, Richardson è stato lanciato ad una decina di metri. Il pilota invece è stretto dalla morsa delle lamiere accartocciate. Verso le 11:15 il luogo dell’incidente è già stato raggiunto dai giornalisti ed i fotografi, tra cui Elwin Musser, autore degli scatti più noti. Anderson, che è stato l’ultimo a vedere i tre musicisti viene incaricato del riconoscimento dei corpi.
Al giorno dell’incidente, il 3 febbraio, Roger Peterson aveva 21 anni, Buddy Holly 22, J.P Richardson, il più grande, ne aveva 28 mentre Ritchie Valens, il più giovane di tutti, aveva appena 17 anni. L’autopsia conferma la morte istantanea di tutte e quattro le vittime, avvenuta per gravi danni cerebrali; più difficile invece individuare le ragioni dell’incidente.
A sx: il fianco destro del Bonanza e Valens in primo piano (fonte: myjournalcourier.com).
A dx: il Bonanza ed i tre musicisti circondati dai giornalisti e dagli agenti di polizia (fonte: sflyer.com).
Le indagini
Prima della partenza Peterson chiese alla FAA (Federal Aviation Administration) il bollettino meteorologico. Inspiegabilmente, seppur Peterson chiese espressamente le necessarie informazioni, il bollettino trascurò dei dettagli fondamentali che lo avrebbero probabilmente trattenuto dal partire. Non venne specificato che le condizioni meterologiche erano in rapido deterioramento, così come non vengono riportati i numerosi avvisi di ghiaccio lungo la rotta. Anche Dwyer, che era un pilota civile d’esperienza, non nota nulla di anomalo dal bollettino per come viene loro riportato e gli consente di decollare. Ma, anche se Peterson avesse avuto il meteo a favore, il giovane pilota non aveva l’esperienza necessaria per decollare quella notte: aveva superato le prove teoriche per il volo strumentale (senza visibilà, guardando solo gli strumenti), ma aveva fallito la prova pratica otto mesi prima. Inoltre Peterson, che aveva 711 ore di volo, di cui 100 sul Bonanza, non aveva mai volato con le strumentazioni obsolete che erano a bordo dell’N3794N: a bordo c’era un giroscopio di vecchia concezione, uno Sperry F-3, che collocava sopra la linea dell’orizzonte la terra e sotto il cielo, quindi invertito.
Peterson decolla in direzione sud; corregge la direzione in direzione nord-ovest, salendo ad 800 metri d’altezza. La visibilità era talmente scarsa che subito perde il riferimento esterno. Non può vedere l’orizzonte reale e, trovandosi in campagna, non può vedere le luci sotto di lui. Bisogna volare guardando la strumentazione. Dal giroscopio è convinto di avere l’aereo verso l’alto, ma non sa che lo strumento è invertito rispetto a quello che conosce lui, e quindi invece di salire sta scendendo costantemente. Inoltre l’aereo si trovava probabilmente in deriva, inclinato seguendo una virata a destra. Quando si accorge dall’altimetro che sta scendendo, tira il timone per alzarsi, ma, l’aereo essendo inclinato su un lato, non fa che accentuare la virata a destra entrando in una spirale da cui non ha il tempo di uscire, vista la bassa quota. L’aereo finisce quindi per schiantarsi al suolo a 300 km/h, urtando prima con l’ala destra e poi rimbalzando più volte di decine di metri finché non si arresta contro una recinzione.
Dinamica dell’incidente.
L’eredità
Nello stesso giorno avvengono altri due incidenti aerei negli Stati Uniti, ma la morte di tre delle stelle più popolari del tempo non può passare inosservata. La notizia riempie subito le pagine di giornale e gli schermi televisivi, commuovendo tutta l’America. I funerali di Valens e di Richardson si tengono rispettivamente il 4 ed il 12 febbraio nelle città natie, ricevendo la partecipazione di migliaia di persone e di tanti colleghi, tra cui Elvis Presley che invia a Richardson una chitarra di fiori. I funerali di Buddy Holly si tengono invece il 7 febbraio: è assente la moglie Maria con cui era sposato da appena otto mesi. Maria apprende la notizia dalla televisione e per il dolore subirà un aborto spontaneo mesi dopo: soffre, consapevole che se non fosse stato per la gravidanza avrebbe seguito il marito e non gli avrebbe fatto prendere l’aereo. Si impegnerà tutta la vita a diffondere e difendere l’immagine del marito.
Ma la tragedia non ferma il “Winter Dance Party”: the show must go on avrà detto qualcuno. Sono gli stessi musicisti che decidono di proseguire con il tour senza interromperlo, ricevendo acclamazioni e critiche da un pubblico diviso; diviso come lo è nei riguardi della General Artists Corporation.
L’incidente segna necessariamente un punto di rottura nel mondo della musica, c’è chi ne parla come de la “perdita dell’innocenza del rock and roll” e vi vede addirittura la nascita simbolica del rock. Certo è che i tre musicisti siano morti ai primordi del loro successo, senza che questi avessero ancora avuto modo di esprimere la loro arte appieno, lasciandoci solo immaginare il resto della loro carriera e come questa avrebbe potuto influenzare gli altri artisti.
A riprova di come l’evento abbia segnato gli americani esiste la nota canzone di Don McLean, American Pie: nel brano McLean descrive la sua adolescenza citando gli eventi sociali che più lo coinvolsero emotivamente tra gli anni ’50 e ’60 in maniera spesso velata (tanto che solo recentemente si è fatta chiarezza su alcuni passaggi). Ma tra tutti gli avvenimenti è sull’incidente del ’59 che la canzone fa un riferimento più incisivo, coniando anche l’espressione “il giorno in cui morì la musica”:
Ma febbraio mi faceva venire i brividi
ogni volta che consegnavo i giornali
lasciavo brutte notizie davanti alla porta.
Non potevo andare avanti così.Non ricordo se piansi
quando lessi della sua sposa diventata vedova,
ma qualcosa mi colpì profondamente
il giorno in cui morì la musica.