Killers è un album di transizione. Ancora grezzo, si nota una certa definizione stilistica rispetto al primo album, ma contestualmente c’è qualcosa che non funziona completamente; un album che vive di pochi alti e di una generale anonimità.
Pubblicato nel 1981, Killers è il secondo album degli Iron Maiden, e l’ultimo con Paul Di’Anno. Alterna momenti di buona musica con altri tralasciabili; nel complesso il risultato è lontano dalla sufficienza.
Lega sonorità di rock classico a sperimentazioni molto articolate, con alterni esiti.
Si inizia con The Ides of March, pezzo strumentale ed introduttivo, che ricorda tantissimo i fantastici assoli di Murray che ritroveremo nei lavori degli anni seguenti. Una marcia quasi militare, con un forte impatto di batteria e chitarra, molto bella, e che diventerà uno dei classsici degli Iron Maiden. È la perfetta introduzione per Wratchild, uno dei pezzi migliori dell’album, dove la graffiante, roca voce di Di’Anno ben si mescola con i toni cupi del brano. Ancora una volta, si notano i germi di quel che troveremo nei prossimi album degli Iron Maiden come sonorità, come ritmo e come unicità.
Murders in the Rue Morgue alza il ritmo dopo una introduzione che ci sembra ispirare brani futuri, ma che nonostante il successo dell’epoca su di me non lascia il segno. Segue Another Life, brano tanto eccezionale strumentalmente, dal geniale attacco di chitarra di Dave Murray all’articolata sezione centrale del brano, quanto inadatto ai toni bassi di Di’Anno.
Rallentiamo con Genghis Khan, interamente strumentale, che tenta un attacco centralmente, ma che nel complesso risulta un pezzo trascurabile. Del tutto poco riuscito è Innocent Exile, al tempo stesso piatto e noioso nella sua ridondanza musicale (con l’eccezione della parte centrale, ancora una volta strumentale).
Arriviamo a Killers, brano che dà il titolo all’album. È uno dei due pezzi che superano i 4 minuti, ed ancora una volta la parte strumentale vince su quella vocale; Paul Di’Anno continua a non incidere, con il suo cantato sguaiato e forzato, atonico e quasi fastidioso. Il brano, in questa versione, è opprimente all’ascolto seppur dotato di innegabili qualità, tanto che diventerà un altro classico quando cantato da Bruce Dickinson.
Prodigal Son sembra uno di quei brani meno riusciti che si trovano negli album dei Maiden da Fear of The Night in poi: carino e leggero musicalmente, ma anonimo e privo di appeal.
Purgatory è l’altro pezzo lungo, una melodia rockeggiante tipicamente anni ’70; rilassata e sussurrata, è un completo cambio di ritmo rispetto a quel che abbiamo ascoltato finora. È qui che Di’Anno dà il meglio di se, perchè non forza e non esagera. È una piacevole pausa dai ritmi serrati finora sfoggiati, e che ricominciano con più che buoni risultati con Twilight Zone, dove la batteria di Nicko McBrain detta tempi serratissimi. È forse la canzone che più si avvicina ai tempi che verranno.
Si chiude con Drifter, parzialmente legata a temi classici del rock, parzialmente già proiettata ai cambi di ritmo tipici dei Maiden. Il brano c’è, e si fa ascoltare.
In conclusione, Killers è un album pesante, vecchio (nel senso di polveroso) e che non riesco ad apprezzare. Eppure è chiaro come qui nascano le fondamenta per il nuovo, spettacolare corso degli Iron Maiden; i germi ci sono tutti, e l’avvicendamento (l’allontanamento) di Paul Di’Anno farà un gran bene alla band, permettendo finalmente di trovare in Bruce Dickinson la giusta voce (e che voce!) da affiancare ad una sezione strumentale di rara qualità. Da qui a poco arriverà quel capolavoro che è The Number of The Beast, di cui potrete leggere la recensione (recuperata dal nostro archivio) fra pochi giorni.