Un brevissimo articolo che mira a stuzzicare nel lettore lo stimolo di un più approfondito studio della demografia nella storia.
Per il periodo che corre tra il tardo Quattrocento agli inizi dell’Ottocento si hanno stime abbastanza attendibili della popolazione mondiale, divisa per continenti. Queste cifre inoltre mettono in evidenza la crisi demografica che colpì le Americhe con l’inizio della colonizzazione europea e l’arresto dello sviluppo dell’Africa legato allo stesso evento (esportazione di schiavi). Più della metà della popolazione viveva nella fascia centro-meridionale del continente asiatico.
Per l’Europa si delineano tre grandi fasi:
- Una crescita demografica generale e continua tra la metà del Quattrocento e gli inizi del Seicento.
- Un forte rallentamento nel XVII secolo, risultato di vari fattori, tra cui forte svalutazione della moneta e guerre frequenti; in generale fu la parte conclusiva del cosidetto “secolo di ferro” (appunto per la sua durezza), un periodo di grandi cambiamenti sociali ed economici.
- Una rinnovata tendenza espansiva nel Settecento che andrà avanti poi fino al XIX secolo. Si discute ancora se questi rallentamenti siano il frutto di uno squilibrio tra popolazione e risorse (tesi di Malthus), oppure se sia dovuto ad altri fattori quali le epidemie, le carestie, le guerre ed il clima sfavorevole.
Bisogna ricordare che nell’età moderna erano pressoché sconosciute le pratiche contraccettive, che iniziarono a diffondersi solo nel tardo Settecento a partire dalla Francia. Potremmo dunque immaginare che ogni coppia di coniugi mettesse al mondo un gran numero di figli, ma la realtà era differente per tre motivi:
- In gran parte dell’Europa le donne si sposavano relativamente tardi (tra i 24 e i 26 anni) e quindi gran parte della loro vita feconda restava inutilizzata ai fini della riproduzione,
- Gli intervalli tra i parti, dopo il primo che avveniva circa un anno dopo le nozze, tendevano ad allungarsi tra i 2 e i 3 anni a causa dell’allattamento prolungato.
- Era molto frequente la rottura del matrimonio prima che la donna terminasse il proprio ciclo fecondo a causa della morte di uno dei coniugi.
In linea di massima un matrimonio durava tra i 12 e i 15 anni e, e dava alla luce 5 o 6 figli (le famiglie ricche e nobili tendevano a generare di più, sia per la maggior diponibilità economica, sia per una più corretta alimentazione, sia perché spesso molti poveri non potevano permettersi di crescere più di 2/3 figli). Questo è un numero abbastanza proficuo per garantire un aumento della popolazione, ma si deve tener conto dell’alto tasso di mortalità infantile e giovanile che spesso dimezzava la prole prima dei venti anni, letteralmente. Il lettore tenga di conto che l’estensione del periodo preso in considerazione, la differenza di situazioni sociali e territoriali rendono queste stime generiche, utili a fornire una idea complessiva.
Tendenzialmente si distinguono cinque tipi di aggregati familiari:
- Famiglia “nucleare”, composta solo da due coniugi ed eventuali figli (quella “classica” del mondo occidentale odierno).
- Famiglia “estesa”, dove ai coniugi e agli eventuali figli sia aggiunge almeno un altro convivente (ad esempio un fratello o un genitore di uno dei due coniugi).
- Famiglia “multipla”, caratterizzata dalla compresenza di almeno due nuclei familiari.
- Famiglie “senza struttura”, alla cui base non c’è un rapporto matrimoniale, i membri sono legati da vincoli di parentela o semplice conoscenza.
- I “solitari”, quelli che noi oggi definiamo “single”.
Il modello nucleare era tipico di molti paesi dell’Europa nord-occidentale e si basava su tre regole: innanzi tutto sia gli uomini che le donne si sposavano abbastanza tardi (rispetto ai livelli di mortalità), ed un numero consistente sia di uomini che di donne non si sposavano affatto. In secondo luogo gli sposi seguivano la regola della residenza neolocale dopo il matrimonio (mettevano su casa per conto loro) e quindi davano origine ad una famiglia nucleare.
Il modello di famiglia estesa era diffusa soprattutto nell’Europa orientale e meridionale e, a differenza del primo tipo, prevedeva un matrimonio abbastanza precoce e una convivenza degli sposi con i genitori del marito.
La divisione del patrimonio in parti uguali tra i figli maschi tendeva a favorire la formazione di famiglie nucleari, mentre la successione al podere di un solo figlio tendeva a favorire la formazione di una famiglia estesa (cioè alla convivenza dell’erede e della moglie con i genitori di lui).
Le questioni economiche naturalmente non riguardavano solo gli strati bassi della società, ma anzi le questioni patrimoniali tra coniugi, la successione e la dote assumevano nelle èlites una maggiore rilevanza e complessità, essendo anche strategiche per avanzamenti politici e sociali.
Per le famiglie aristocratiche europee, la conservazione della propria ricchezza, incentrata tendenzialmente sulla proprietà fondiaria, era una preoccupazione costante. Tra il XVI e il XVIII secolo si adottarono strumenti giuridici adatti a tale scopo.
Nacquero così:
- I fedecommessi: una disposizione mediante la quale chi fa testamento obbliga l’erede a trasmettere tutta o parte dell’eredità (dopo la morte) a un’altra persona per via di discendenza maschile, fidecommissario. Così ci si assicurava che la linea ereditaria seguisse il percorso voluto, senza che si “perdesse” tra parenti avidi di mettere le mani su ricchezze e possedimenti (nonché, di conseguenza, status sociali e politici).
- Le primogeniture: concentrare nel primogenito, in presenza di più figli maschi, il grosso dell’eredità.
Con questi accorgimenti le famiglie cercavano di tutelarsi con il rischio di una dispersione del patrimonio. Per le femmine la dote fungeva da eredità anticipatoria ed era commisurata al prestigio della famiglia. Solo una femmina era destinata a sposarsi, le altre prendevano la via del chiostro (monache) oppure rimanevano a vivere in famiglia (nubili). Allo stesso modo la trasmissione di beni per la linea maschile comportava per i non primogeniti la carriera militare, ecclesiastica o giudiziaria, senza sposarsi.
Questo approccio, incentrato sulla non dispersione del patrimonio familiare, dava molta importanza alle alleanze matrimoniali e alle reti allargate di parentela agnatizia (tra i discendenti dallo stesso padre) e cognatizia (acquisita attraverso unioni matrimoniali).