Lockwood & Co. – la recensione

I preliminari sono importanti, ma ad un certo punto si deve pure concludere qualcosa! Non ci riesce questa serie Netflix da coitus interruptus.

 

Lockwood & Co recensione

 

Sviluppato da Joe Cornish per la piattaforma americana, questo titolo è un ambizioso adattamento della serie di romanzi omonimi scritta da Jonathan Stroud. Composta da otto episodi di circa sessanta minuti l’uno, l’uscita dark fantasy di queste settimane è un grosso punto interrogativo: parte col botto, con effetti speciali da urlo (nel senso gutturale del termine) e brividi a fior di pelle, ma poi accade qualcosa. Come la classica squadra di campioni di calcio che, dopo un girone d’andata super, svacca e perde anche contro il fanalino di coda, questa produzione si adagia su un’ottima trama e bravi (giovani) attori per galleggiare quasi spocchiosamente sulla sufficienza stiracchiata. Nulla che precluda la visione della seconda stagione, già in lavorazione, ma abbastanza per dichiarare guerra, almeno a Risiko, agli inglesi che l’hanno prodotta, anche solo per il tempo che ci hanno sottratto con questo lungo preambolo.

E non era facile vanificare un ottimo spunto narrativo: in Lockwood & Co. il mondo è invaso da fantasmi capaci di indurre in catalessi o di uccidere le proprie vittime, e i soggetti capaci di vederli o di percepirli vengono reclutati da agenzie specializzate per tenerli a bada e ricacciarli nell’oltretomba. La giovane Lucy, cacciatrice particolarmente dotata ma ancora in cerca di gloria (e del grande amore), scappa a Londra dove viene assunta dalla Lockwood & Co. (appunto), un’agenzia composta da due adolescenti, l’omonimo Anthony e George Karim. Le avventure nel mondo dei morti di questi tre “ragazzacci” sarebbero potute essere una versione adolescente di Dylan Dog ma la Bonelli è una casa editrice italiana e sa il fatto suo. Qua, invece, il boccino ce l’hanno gli inglesi e tutto va a rotoli.

La sotto traccia da storia di spionaggio tra agenzie concorrenti prende il sopravvento e, puntata dopo puntata, le graditissime angosce dei morti ammazzati (molto alla Dario Argento in Suspiria) cedono il passo ad una brutta imitazione della saga di Mission Impossibile (già di per sé insopportabile) con l’aggiunta di spadoni alla Highlander ma senza il fascino del clan MacLeod. Un mischione clamoroso quasi da rigetto visivo. Non solo.

 

Lockwood & Co recensione

 

Al cocktail mortale si aggiunge una parallela struggente storia d’amore che coinvolge il buon Anthony e la burrosa Lucy in un eterno detto/non detto che manda gli spettatori ai matti. Vi piacete? Siete giovani e liberi? Vivete nella stessa casa? E allora copulate come se non ci fosse un domani e non ci annoiate a morte con questi sguardi languidi che lanciate a favore di camera e le inevitabili ballatone americane di sotto fondo che ci tocca ascoltare.

Ma allora perché alla fine il prodotto va visto fino alla fine e, come annunciato in apertura, merita persino della fiducia in una seconda stagione? Innanzitutto perché Stranger Things insegna che a volte le cose migliori arrivano strada facendo e poi perché, alla base di questa cupa serie, c’è una consolidata uscita di libri di successo che dovrebbe garantire la solidità della trama futura.

Il fascino di Londra, poi, così gotica e decadente, salva definitivamente una barca che rischiava di andare a picco nel Tamigi. Starà alla produzione decidere se spiegare le vele verso una narrazione più a fuoco o abbandonarsi del tutto ai mortali gorghi di un vorrei-ma-non-posso.

Nel frattempo non crediamo che qualcuno comprerà più a cuor leggero un maniero abbandonato nelle campagne britanniche! Non senza prima aver chiamato i tre professionisti della Lockwood & Co.

 

Lockwood & Co., 2023
Voto: 6,5
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