Democrazia in crisi in Israele?

Lo Stato d’Israele sta vivendo da tempo più crisi contemporaneamente; queste potrebbero rappresentare uno spartiacque nel futuro del Paese.

 

 

Dopo settimane di accese proteste, il Governo israeliano ha sospeso l’approvazione della nuova riforma della giustizia, tregua che assomiglia di più ad una quiete prima della tempesta che ad un possibile punto d’incontro con i contestatori. Le cause del dissenso non sembrano mitigabili perché ad opporsi sono visioni diametralmente opposte sul funzionamento della democrazia; oggi il Paese appare perfettamente spaccato in due sulla questione della riforma della giustizia, e a questo si affianca una recrudescenza della questione palestinese.

Benyamin Netanyahu è tornato qualche mese fa a guidare il Governo di Tel-Aviv con una coalizione fortemente sbilanciata a destra, promotrice di politiche autoritarie e securitarie in ottica anti-palestinese; tra queste troviamo la riforma della giustizia, ampiamente contestata negli ultimi mesi nelle piazze del Paese tanto da provocare la sospensione dell’iter legislativo fino a fine aprile.
Quali sono le proposte maggiormente contestate?

La riforma punta ad indebolire la Corte Suprema israeliana a favore del Knesset, il Parlamento, il quale potrebbe ribaltare le decisioni prese dalla Corte attraverso un voto a maggioranza semplice; uno scenario plausibile data la maggioranza dei seggi attribuiti alla Camera ai partiti di Governo. Il provvedimento abrogherebbe anche il potere della Corte Suprema di sindacare sulla costituzionalità delle leggi fondamentali, provvedimenti che nell’ordinamento israeliano hanno forza legislativa equiparabile alla nostra Costituzione.
Un altro capitolato ampiamente discusso è quello riguardante la nomina dei giudici della Corte, oggi scelti in maniera neutrale, la cui elezione dipenderebbe da un’indicazione governativa.

Quando in una democrazia il potere esecutivo propone politiche che limitano il potere giudiziario in proprio favore bisogna aspettarsi una resistenza diffusa, e l’Israele di oggi ne è un chiaro esempio. I manifestanti propongono una visione di emergenza democratica che si salda con altri malesseri presenti nel Paese, come quello della questione palestinese; non è un caso che il riacutizzarsi nell’ultimo periodo di tensioni con i palestinesi coincida con l’attuale crisi dell’assetto istituzionale israeliano, caratterizzato da cinque elezioni negli ultimi quattro anni e da una faida continua tra esecutivo e magistratura.

 

 

Che Netanyahu e il suo Governo siano su posizioni fortemente anti-palestinesi è cosa nota; la coalizione ha da poco approvato l’istituzione di una decina di nuovi avamposti in Cisgiordania, ulteriore elemento di tensione di una questione che dilania il Paese da oltre settant’anni. La riforma della giustizia inoltre andrebbe a minare quel sistema di contrappesi che vede la Corte Suprema sindacare sulle detenzioni amministrative e sulle espropriazioni nei territori palestinesi.
Per detenzioni amministrative si intende quella pratica che prevede il fermo di un cittadino senza che siano comunicati i motivi dell’arresto, una pratica avallata più volte dalla stessa Corte ma che nelle mani del Governo potrebbe ampliare il proprio raggio d’azione; ad oggi sono quasi mille i cittadini palestinesi detenuti senza processo, numeri che alimentano un risentimento sempre più difficile da gestire per Tel-Aviv.

Siamo arrivati alla quattordicesima settimana consecutiva di mobilitazione e le mediazioni del Presidente Herzog e la sospensione della discussione della riforma non sembrano aver ancora sortito effetti. Ad oggi la prima pagina spetta ai cittadini israeliani, scesi in piazza per tutelare la democrazia, elemento che da fuori potrebbe far storcere il naso pensando alla situazione palestinese che si staglia sullo sfondo; le due questioni sono però intrinsecamente legate e una vittoria dei movimenti di piazza potrebbe aprire la strada ad un ripensamento delle politiche sui territori palestinesi.
La realtà però vede un Governo eletto democraticamente ancora in carica e un senso d’incertezza assoluto verso il futuro; Netanyahu si trova a fronteggiare sia i palestinesi che i suoi stessi cittadini. Trovare una soluzione un problema alla volta potrebbe non bastargli.

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