Una storia antica ambientata più di 30.000 anni fa con una trama principale coinvolgente, contornata da tanto sesso.
“Un milione di anni fa, o forse due” … così cantava la sigla di Ryu il ragazzo delle caverne, una storia antica di amori e sofferenze, una storia che sin da piccolo non mi ha mai entusiasmato particolarmente e mi annoiava anche un po’. Crescendo le cose non sono migliorate, il periodo degli uomini delle caverne non è mai stato particolarmente nelle mie corde, ma a causa di quel Ryu da piccolo, ho sempre avuto la voglia di leggere una buona opera ambientata più di 30.000 anni fa.
Grashros è un manga ambientato nell’epoca in cui la razza umana era ancora dedita principalmente alla caccia. Gli uomini si univano in piccoli agglomerati per difendere se stessi dalle bestie selvagge e provavano a sopravvivere tra miti e tradizioni fatte principalmente d’ignoranza. La storia inizia prima della nascita del nostro protagonista Akuu, nel giorno in cui suo padre Dada torna da una buona battuta di caccia e il piccolo villaggio è in festa per il cibo appena arrivato. Lala, la madre del nostro protagonista, è prossima a partorire, ma l’anziano del villaggio avverte che il loro figlio non deve nascere sotto la luce della luna insanguinata che è appena sorta. Dovesse accadere questo infausto evento, la tribù sarebbe costretta ad uccidere il neonato per la salvezza di tutti. Dada si ribella, chiede a gran voce di poter trovare una soluzione e l’anziano, titubante, lo incarica di cacciare da solo un animale che nessuno del villaggio è mai riuscito a catturare.
Come potete immaginare Akuu nascerà sotto la luce della luna rossa e sin da piccolo sarà additato come maledetto. Suo padre Dada riuscirà a terminare la pericolosissima caccia, ma si ritroverà poi ferito gravemente e non sarà più capace di occupare della propria famiglia come un tempo. Akuu crescerà tra diverse difficoltà e verrà sempre inseguito dalla maledizione di quella luna insanguinata che anni dopo si ripresenterà sopra il cielo del villaggio per esigere il suo tributo di sangue per mano del Grashros, un animale gigantesco. Questo è solo l’inizio della storia che si dipanerà durante l’arco di diversi anni in cui Akuu crescerà e diventerà un uomo adulto in cerca della sua vendetta.
Akuu viaggerà molto e incontrerà tante diverse tribù con i loro usi e costumi, alcune volte ci troveremo di fronte a buone idee che possono essere credibili, altre volte l’autore prende spunto dalla vita moderna e questo forse è un male. Non credo che tutte le idee proposte si possano definire valide, ho storto il naso più di una volta per la forzatura di alcune rappresentazioni della società moderna, tipo la tribù che assomiglia alla mafia giapponese o quella composta solo da pacifisti. Sicuramente scelte discutibili che però non hanno influito più di tanto su una trama principale che rendeva Akuu sempre di più padrone della scena.
Akuu cresce, ed è quindi naturale che l’autore cominci ad inserire chiari ed espliciti riferimenti sessuali. Mi è sembrata una scelta saggia ed anche piuttosto veritiera nelle dinamiche che accompagnano la storia. L’uso del sesso come strumento nei rapporti sociali è stato più che riscontrato nelle società dell’epoca, quindi non sono rimasto particolarmente sorpreso quando è stato introdotto nella storia. Purtroppo basta poco per cadere in esagerazione e l’autore Muneyuki Kaneshiro ne abusa in modo sbagliato, cominciando ad introdurre tutta una serie di sottotrame legate al sesso che mi hanno strappato un paio di sorrisi per la stupidità intrinseca in se stessa, ma che potevano tranquillamente essere risparmiate.
In sostanza questo lavoro si può dividere nettamente in due: la trama principale che è anche abbastanza gradevole ed interessante da seguire, e tutto il contorno che naviga intorno ad Akuu, che diventa spesso più una forzatura per dare spettacolo o strappare un sorriso.
Anche l’aspetto grafico ha tre caratteristiche abbastanza nette che conferiscono all’opera un tocco abbastanza particolare. Si parte dalla rappresentazione dei personaggi, che usa uno stile abbastanza riconosciuto, oserei dire quasi classico per un manga giapponese, con gli inconfondibili occhi grandi e il tratto pulito. Lo stile che contraddistingue l’ambiente è abbastanza curato, sembra quasi che l’autore abbia più facilità nella rappresentare la natura stessa piuttosto che i propri personaggi. Ed infine gli animali, che sono rappresentati quasi in modo grottesco ed a volte raccapricciante; credo che l’autore abbia fatto del suo meglio, ma forse doveva esercitarsi di più prima di proporre un manga ricco di animali da disegnare.
Non so se Grashros sarà mai pubblicato in Italia, ma il racconto è già giunto alla sua conclusione dopo pochi volumi, quindi è abbastanza agevole trovare una sua traduzione on-line fatta dai volenterosi traduttori che popolano le piattaforme del web.