Il pogrom dei coloni israeliani ad Hawara contro gli abitanti palestinesi ha mosso le coscienze dei politici africani; è la svolta nei rapporti con Israele?
Circa due settimane fa si è tenuto il vertice dell’UA (Unione degli Stati Africani) ad Addis Abeba in Etiopia, e la diplomatica israeliana Sharon Bar-Li, presente come rappresentante del suo stato in veste di osservatore, è stata allontanata dalla sede delle riunione prima che questa iniziasse. Ufficialmente l’allontanamento è stata giustificato con una motivazione burocratica: il Presidente dell’UA Moussa Faki Mahamat ha infatti affermato che l’accreditamento di Israele come stato osservatore è ancora sospeso, e pertanto i suoi rappresentanti diplomatici non potevano assistere alla riunione.
Nei fatti, i Paesi africani sembrano aver raggiunto una certa compattezza rispetto ai rapporti da intrattenere con lo Stato d’Israele; l’opposizione alla colonizzazione israeliana nei territori palestinesi è probabilmente giunta al punto in cui la disapprovazione perde la forma della parola per assumerne una più concreta e politica.
Proprio alla fine della sopracitata conferenza pare sia circolato un documento nel quale l’UA invita i suoi paesi membri a boicottare commercialmente Israele, con la speranza che il contraccolpo economico possa fermare in qualche modo l’avanzata israeliana nei territori dell’Autorità Nazionale Palestinese. Una mossa certamente più incisiva delle parole; ma sarà sufficiente ad impedire la colonizzazione israeliana?
Probabilmente la risposta è no, e questo è dovuto al volume degli scambi che intercorrono fra il continente africano ed Israele; lo Stato di David può infatti contare su un’economia interna più solida, basata su scambi commerciali con partner affidabili come gli USA, e su una tecnologia decisamente più avanzata. Tutte variabili che permetterebbero ad Israele di ammortizzatore facilmente il boicottaggio economico africano; a conferma, basti pensare che, visto il periodo storico che sta coinvolgendo la Russia, numerose imprese americane ed europee stanno fortemente investendo nel mercato israeliano, soprattutto nel settore dell’energia, in particolare nello stoccaggio e nel trasporto.
Le velleità di conquista delle “terre promesse” da parte di Israele è una delle finalità politiche principali dello Stato di David, sia per una questione puramente geografica che soprattutto ideologica; le sanzioni africane pertanto potrebbero significare un’ulteriore svolta nei rapporti fra questo Stato e l’insieme degli stati africani, anche se probabilmente non sarà così destabilizzante.
Per fermare la volontà espansionistica israeliana forse sarebbe necessario un intervento più sostanzioso sia in termini puramente sanzionatori che in relazione agli attori che potrebbero applicare tali sanzioni: se a punire le azioni di Israele fossero gli Stati europei o, addirittura gli USA (improbabile ma non impossibile), sicuramente gli effetti sortiti sarebbero diversi e più efficaci visto il peso specifico internazionale di queste due entità politiche.
Probabilmente però le sanzioni europee e americane non arriveranno mai, e il perché può essere rintracciato sia nella volontà di non schierarsi in nessun modo contro Israele, sia per il rischio di appoggiare trasversalmente gli ambienti più reazionari del mondo arabo presenti in Palestina, sia per un moralismo che forse ancora oggi intacca in qualche modo la visione che queste due entità politiche hanno di Israele e del suo popolo.
La situazione rimarrà presumibilmente la stessa ancora per molto, e a rimetterci ovviamente non saranno né gli Israeliani né tantomeno i Paesi africani coinvolti nella manovra di boicottaggio, ma il popolo palestinese, colpevole unicamente di abitare un luogo arbitrariamente assegnato ad un altro popolo da un arbitro probabilmente tutt’altro che imparziale.