Dopo anni di ascolto, devo ammettere di non aver capito un cacchio di certe canzoni. Questo è un peccato, perché il livello strumentale è fantastico.
Parlare di un lavoro dei Fugazi non è mai facile. Primo, perché il loro è un punk di frontiera, impegnato e studiato; secondo, perché i loro testi sono degni dei migliori sistemi di crittografia. In effetti ciò che colpisce, principalmente, dei loro brani, è la realizzazione tecnica.
In On The Kill Taker è uno dei loro album più “caotici”: la formazione Statunitense qui sfoggia tutta la propria abilità nell’esecuzione di brani aggressivi, distorti, duri e al tempo stesso pieni di carica emotiva.
Come dicevo, non è facile analizzare i testi dei brani dei Fugazi: sono criptici, contorti e, sebbene lascino trasparire le emozioni, sono interpretabili in modo diverso da persona a persona, visto che bisogna metterci del proprio per renderli “di senso compiuto”.
In quest’ottica, In On The Kill Taker è anche più difficile degli altri album. Personalmente, dopo anni di ascolto, devo ammettere di non aver capito un cacchio di certe canzoni. Questo è un peccato, perché il livello strumentale è fantastico; raramente ho avuto la fortuna di ascoltare pezzi così intensi e così lavorati.
A quest’album appartiene la “canzone-trittico” che preferisco in assoluto: Rend It, 23 Beats Off e Sweet And Low sono tre brani diversissimi fra loro, ma che vengono fatti convergere in un unico punto comune, un’unica emozione intensa e forte. Si tratta di una struggente introspezione su un rapporto finito, che regala istanti di profondo coinvolgimento; e nei dieci minuti complessivi i Fugazi incantano. Partendo da un ritorno di chitarra quasi abbandonata a se stessa, si passa per una dolce cadenza, per poi regalarci oltre 3 minuti di assolo di chitarra distorta (mai udita cosa più sublime) e finire con una calma esausta.
Da notare sono poi Facet Squared e Last Chance For A Slow Dance, brani di apertura e chiusura dell’LP.
Nonostante la difficoltà nell’interpretazione dei messaggi, filtra chiaramente un malessere intenso, palese, che viene trasposto con bravura sulla partitura. E proprio al periodo più nero, più d’attacco dei Fugazi appartiene questo album. Ripeto, mi trovo in difficoltà a commentarlo, visto le profonde emozioni personali e non semplici messaggi; quello che posso dire è che va ascoltato, e poi valutato.
Dovendolo giudicare in modo freddo e distaccato, mi vedo costretto a valutare negativamente la difficoltà interpretativa, cosa peraltro che mi porta a pensare che il tutto è cercato e non dipende da scarsa vena artistica. Taluni brani sono però ridondanti, pesanti, e sono conditi da pezzi di bravura e di maestria pura.
In On The Kill Taker è un album che mi spiazza: lo amo in alcuni suoi aspetti e non riesco ad ascoltarlo per certi altri. Ma è la follia un male? È l’irrazionalità, la fine del pensiero una cosa da colpevolizzare? Credo proprio di no.