I bond gridano “recessione” ma Wall Street non ci sta

Il 2023 è davvero l’anno della recessione? Questa domanda perseguita gli analisti dalla fine del 2022 e ad oggi è ancora difficile trovarle una risposta.

 

 

Nelle ultime settimane i segnali di mercato continuano ad essere contrastanti, e ci si chiede se sia possibile prevedere contemporaneamente giornate di pioggia e giornate di sole. Guardando il rapporto tra i rendimenti dei titoli azionari e di quelli obbligazionari come uno dei principali indicatori di merito, risulta evidente una correlazione negativa tra i due asset: i movimenti dei bond al ribasso farebbero pensare ad una recessione imminente e profonda ma Wall Street rilancia con indici azionari in forte ascesa già nel primo mese del 2023, in forte contrasto rispetto alla chiusura negativa dello scorso anno.

A livello teorico, data la forte esposizione di entrambi i mercati all’inflazione, un incremento di quest’ultima dovrebbe portare i due asset ad essere correlati positivamente, riducendo sia i prezzi nominali dei bond che le aspettative di crescita degli utili azionari. Di contro, un incremento del PIL e della crescita economica, nonché l’aumento della volatilità di mercato, dovrebbero alimentare una correlazione negativa tra i due asset.

Storicamente, la correlazione tra azioni e obbligazioni è stata perlopiù positiva, in particolare tra il 1931-1955 e il 1970-1999. In controtendenza il ventennio che va dal 2000 al 2020, con i due asset che si sono mossi in direzioni opposte, compensandosi a vicenda. Infine, il 2022 ha segnato un nuovo cambio di rotta; si tratta tuttavia di un anno tristemente “eccezionale”, con i principali indici di mercato in forte perdita (il Dow Jones è sceso del 8,8% e il Nasdaq del 33% in un solo anno). Guardando al passato, in periodi di drawdown così importanti, il ricorso alle obbligazioni ha consentito agli investitori di proteggere il proprio patrimonio dalle oscillazioni di mercato. In questo senso azioni ed obbligazioni si compensano a vicenda, assorbendo le une i movimenti delle altre.

 

 

Alla luce di quanto detto e date le aspettative attese in merito ai livelli di inflazione per il prossimo anno (circa il 3%), ci aspetteremmo quindi un movimento ribassista comune dei due mercati. Cosa non ha funzionato o non sta funzionando nel 2023?

In periodi storici simili, la politica monetaria delle banche centrali si è dimostrata a sostegno dei mercati, permettendo alle obbligazioni di apprezzarsi a fronte di titoli azionari in sofferenza. Attualmente invece, le recenti manovre di politica monetaria, con un innalzamento ripetuto e continuo dei tassi di interesse, rendeno più costoso il finanziamento e, probabilmente, non consentiranno più alle obbligazioni, per i prossimi anni, di svolgere il proprio ruolo di “ammortizzatore economico”; questo spiegherebbe il perché di titoli obbligazionari in perdita. È inoltre possibile che, nei mesi scorsi, l’azionario abbia già scontato al suo interno le attese in merito all’aumento previsto dell’inflazione e stia ora tornando a salire. Vero è che, dai recenti dati pubblicati, l’inflazione sta sì scendendo, ma ad un ritmo più lento rispetto a quello auspicato dagli analisti. Questo farebbe pensare ad un nuovo, possibile, aumento dei tassi di interesse da parte delle banche centrali.

Viene allora da chiedersi quanto sia sostenibile, nel lungo periodo, una politica monetaria così restrittiva a discapito degli operatori economici, grandi e piccoli, con un aumento del costo del denaro che irrigidisce gli scambi di mercato. Bisogna inoltre tener conto del fatto che ogni manovra economica ha bisogno di tempi più o meno lunghi per manifestare i suoi frutti. Considerati anche gli ultimi 3 anni di pandemia con una crescita economica vicina allo zero ed un calo generalizzato della produzione mondiale, una politica monetaria così restrittiva nel breve periodo è davvero la soluzione?

Per condividere questo articolo: