Il Mali si sta preparando alle elezioni del 2024; la riforma costituzionale dovrebbe essere il primo passo di un processo che stenta a partire.
Il Mali sta cercando di uscire da una crisi politica e sociale che dura ormai da 3 anni e che lo ha gettato in una situazione di stallo istituzionale; dal 2020 infatti il Paese è governato da una giunta militare che ha deposto l’ultimo Presidente eletto Ibrahim Keita per condurre il Mali in una fase di transizione prima di restituirlo al controllo dei civili.
Il malcontento generato dall’ultimo governo di Keita ha portato la popolazione a fidarsi meno di quella classe politica in doppiopetto e con tendenze occidentali e, proprio per questo, il colpo di stato di 3 anni fa era stato accolto con giubilo da gran parte della popolazione, esausta e resa indolente dal nepotismo politico e dalla crisi economica.
La transizione guidata dalla giunta militare negli ultimi mesi è entrata in una fase travagliata, e il nodo costituzione non sembra affatto facile da risolvere; il principio di laicità dello Stato, che dovrebbe essere sancito dalla nuova costituzione, ha incontrato l’opposizione di influenti associazioni culturali di matrice islamica, nonché quella di leader religiosi come Mahmoud Dicko, uno degli Imam più influenti del Paese.
Il Mali è una Paese in cui il 90% circa della popolazione è composta da persone di fede islamica sunnita, una religione che in quella regione dell’Africa è stata introdotta a partire dal XI secolo a.C., mille anni fa; questo ovviamente rende il Mali un Stato con una forte matrice culturale islamica, e proprio questa sembrerebbe essere stata usata per legittimare l’opposizione mossa alla bozza di costituzione.
È ipotizzabile pensare che nella nomenclatura religiosa e culturale del Paese ci sia il timore che dietro il carattere laico sancito dalla costituzione si nasconda un ammiccamento favorevole da parte della commissione militare verso gli ex coloni francesi, allontanati militarmente già nel 2020 ma la cui sfera di influenza economica permette ancora loro di permeare gli ambienti amministrativi e politici del Paese.
Al di là della possibile ingerenza francese bisogna comprendere che probabilmente questo è un momento fondamentale per la storia futura, un percorso la cui meta dovrebbe essere idealmente la rinascita del Mali attraverso una nuova costituzione, libera ed identitaria, in grado di declinare socialmente i tratti culturali dello Stato.
Osservare e giudicare la vicenda con un filtro culturale europeo probabilmente distorcerebbe la percezione della realtà data la nostra storia moderna in cui viene teorizzato e applicato diffusamente il concetto di Stato laico; nella storia del Mali infatti in tantissimi casi i leader religiosi coincidevano con i leader politici, e questo tratto culturale dalle sfumature tribali ancora permea fortemente la coscienza della popolazione.
Ovviamente unire elementi politici ed elementi religiosi all’interno di una costituzione è un atto che incide particolarmente sull’articolazione e sulla natura di una Stato; fondamentalismo, repressione e violazione dei diritti umani, nonché forme di associazionismo con gruppi terroristici radicalizzati, possono essere alcune delle possibili eventualità.
L’area dell’Africa Occidentale è soggetta all’azione di alcuni gruppi terroristici come Boko Haram e questa componente, unita ad una instabilità politica piuttosto e purtroppo endemica dell’area, richiede un monitoraggio della situazione per prevenire potenziali situazioni critiche e fatali per molti civili; l’universalità dei diritti si scontra con la pluralità identitaria del mondo, ma probabilmente alcuni di questi diritti travalicano (o dovrebbero farlo) qualsiasi forma di manifestazione culturale.
La sviluppo della situazione in Mali sarà la cartina al tornasole per capire il momento storico di quell’area dell’Africa e il suo grado di maturazione politica e sociale.