Lo scontro fra Polonia ed UE in merito al primato delle leggi nazionali nasconde una frattura molto più profonda su tradizione e identità.
La Corte Costituzionale polacca ha pochi giorni fa sancito la supremazia della costituzione nazionale e delle leggi emanate in patria su quelle dell’Unione Europea. La decisione dello scorso 9 Ottobre è una di quelle che può scuotere un continente. Non si tratta di una questione di poco conto: è il vero punto cardine di tutte le tensioni e le guerre intestine che stanno segnando l’Unione Europea da qualche anno a questa parte.
Si tratta infatti dell’esplosione di una tensione latente di due fronti con visioni contrapposte ed incompatibili fra loro; da una parte la visione centralistica e assolutistica di un’Unione Europea padrona e totalitaria, creata senza il consenso popolare, e dall’altra un approccio tradizionale in cui esistono semplicemente mutui accordi ed alleanze dove i vari Paesi mantengono la loro sovranità ed autonomia.
È qualcosa che scuote le fondamenta di un sistema, quello dell’Unione Europea, profondamente diverso da quello concepito dai suoi fondatori, quando il progetto era quello di stringere accordi commerciali ed alleanze geopolitiche per avvicinare le nazioni del vecchio continente e prevenire una nuova guerra. Quello che è diventata l’Unione Europea a partire dalla fine degli anni ’90 è invece uno strumento che tenta di fagocitare ed annullare l’identità dei vari popoli e le loro tradizioni in nome di qualcosa di poco chiaro.
Ben sappiamo dei gruppi di alta finanza che nei fatti controllano questa Unione Europea, gruppi che mirano esclusivamente al profitto e che per farlo non hanno alcuna remora nel tentare di azzerare tradizioni, unicità e mentalità di popoli che al di là di riconoscersi in una storia continentale comune sono comunque profondamente diversi e che spesso non sono sovrapponibili.
Dopo le criticità sorte con i PIIGS, l’umiliante acronimo per indicare i paesi più finanziariamente disastrati del sud Europa, e l’uscita del Regno Unito dalla zona Euro, una scelta coraggiosa premiata dai mercati e da un’economia in crescita, oggi il fronte si è spostato ad est.
I paesi del gruppo di Vysegrad e quelli balcanici sono stati abbandonati a se stessi nell’affrontare il fenomeno migratorio, proprio come Italia senza alcun supporto dell’ente centrale europeo; e sono stati minacciati di avere i fondi tagliati (inclusi quelli del Next Generation EU) se non dovessero piegarsi all’impulso pro LGBT che vuole vedere annichilito il concetto storico di famiglia e di sessualità definita. Le conseguenti reazioni anche forti non sono altro che il risultato dell’essere costantemente ignorati e trattati come oggetti di comodo da parte dell’istituzione europea. Ma non c’è solo questo: manca una politica estera comune, una tutela degli stati finanziariamente meno forti, ed è chiaro che esista una visione dei valori sociali e culturali radicalmente diversa fra i più alti rappresentanti UE e i popoli dell’est europa.
La riaffermazione delle costituzioni e delle leggi nazionali su quelle UE significa mettere un confine chiaro sul potere che l’Unione Europea dovrebbe poter avere. Quello che serve all’Unione sono una serie di trattati, di accordi commerciali ed economici, non una intromissione negli affari culturali e legislativi dei singoli Stati, non la morte delle bandiere nazionali. Il “superstato”, come ben chiamato dal Primo Ministro polacco, non ha ragione di esistere e non deve esistere. Siamo popoli diversi, in taluni casi simili ma certamente non sovrapponibili; abbiamo storie e tradizioni diverse, ed è imperativo che vengano rispettate. Ed è altresì imperativo che si rimedi al voluto errore di non chiedere alle popolazioni europee se volessero cedere la sovranità del loro Stato nei confronti di una entità fittizia; ma è palese che questo non avverrà mai.
L’imposizione di cancellare la storia millenaria di popoli che hanno ferme convinzioni in merito a famiglia, religione, patria, ed identità culturale è una violenza che in altre condizioni verrebbe stigmatizzata nella comunità internazionale alla stregua di una pulizia etnico-culturale. E oggi Polonia e Ungheria reagiscono a questa violenza ponendo una barriera allo strapotere di una Unione Europea che non è nata grazie ad una volontà popolare, ma tramite una pianificazione di pochi gruppi di potere che ha visto interi pezzi di Costituzione venire stracciati e stravolti con la connivenza dei politici nazionali (vogliamo ricordare gli articoli sulla sovranità e sul pareggio di bilancio inseriti nella Costituzione Italiana sotto i governi Monti-Letta-Renzi?).
Anche se non tutte le scelte interne dei governi Morawiecki e Orban possono piacere o essere condivisibili, è innegabile che oggi Polonia e Ungheria sono il faro della vecchia Europa e di quegli europei che non ci stanno a rinunciare alla loro identità, alla loro cultura, alla loro tradizione. Quello che viene astiosamente chiamato “sovranismo” dai media non è altro che la reazione popolare (e di buon senso) a reiterati abusi compiuti da ormai venti anni su ciò di cui ha più intimamente caro un qualsiasi popolo: il sentirsi parte di una società unica, diversa, viva e distinta. Le imposizioni ed i diktat di un ente astratto come l’Unione Europea possono essere apprezzati solo da chi non ha memoria storica nè senso di appartenenza; e le scelte puramente ideologiche che sono diventate i nuovi mantra occidentali (accoglienza, inclusione, diversità, fluidità) sono un chiaro esempio di come a decidere per tutti sono minoranze che in una vera democrazia sarebbero sicuramente tutelate ma non detterebbero l’agenda politica comune.
Oggi le più alte cariche dell’Unione Europea minacciano i “ribelli” con toni da guerra non solo economica. La Von Der Leyen, con il suo “agiremo”, parla di tradimento dei “nostri valori”. Rimane ancora da capire quali siano questi valori, e chi rappresentino esattamente. Perchè ancora una volta, si vuole far passare il concetto che i valori di una parte debbano essere forzosamente i valori accettati da tutti.