Elezioni politiche: l’esca elettorale delle promesse impossibili

I politici di ogni schieramento hanno gareggiato a suon di promesse, ma quante di queste sono realizzabili dato il nostro debito pubblico?

 

 

Il rapporto fra il PIL e il debito pubblico italiano è al 147%, una percentuale di molto superiore alla media UE (che si attesta intorno all’87%) e incredibilmente superiore al 69% della Germania, il faro economico dell’UE, che probabilmente rappresenta una realtà attualmente non raggiungibile dal nostro Paese.

In termini prettamente monetari abbiamo circa 2447 miliardi di euro di debito, una situazione che ci pone sempre sotto l’occhio vigile delle varie istituzioni europee, impaurite dalla possibilità di perdere gli investimenti e i prestiti fatti a favore dell’Italia, e dalla necessità di intervenire tempestivamente in caso di default totale del Paese.

Mario Draghi, fine economista di livello mondiale ed ex Presidente della BCE, conscio di questo pericolo, ha guidato un governo cercando sempre di mantenere un profilo economicamente diligente agli occhi delle istituzioni europee, sia per dissuadere quella spasmodica attenzione dell’Unione, sia per rilanciare la fiducia negli investimenti di quest’ultima a favore dell’Italia. Il suo governo non si è imperlato di promesse, ma si è ammantato di un cinismo e di una professionalità che in Italia difficilmente abbiamo visto in politica; proprio per questo, probabilmente, non è stato compreso.

Contrariamente ai toni e ai modi dell’ormai ex premier Mario Draghi, la corsa alle elezioni del 25 settembre è stata accompagnata dalle solite promesse elettorali fatte dai vari partiti e dai loro uomini di punta, alcune delle quali in netto contrasto rispetto al periodo socioeconomico che stiamo vivendo, e probabilmente atte solo a recuperare quanti più voti possibili alle urne, soprattutto fra l’enorme numero di indecisi.

Silvio Berlusconi ad esempio, leader di Forza Italia, ha promesso, oltre al milione di alberi piantati ogni anno, un aumento delle pensioni minime almeno fino a mille euro; una promessa che, alla luce della situazione del nostro sistema pensionistico e della nostra piramide dell’età, sembra non essere francamente attuabile: l’attuazione di questa riforma rischierebbe infatti di provocare un taglio ai fondi di altri comparti, come storicamente avvenuto per sanità e istruzione.

 

 

Il centro sinistra, e in particolare il Partito Democratico, ha fra le idee del suo programma quella di rendere il sistema delle università pubbliche totalmente gratuito, una manovra che probabilmente non troverà spazio di applicazione visto l’elevato costo che comporterebbe in proporzione alla platea di beneficiari.

In altre parole il Partito Democratico e il centro sinistra magari si concentreranno maggiormente su parti del loro programma in grado di soddisfare i bisogni politici e sociali di una fascia di elettorato quanto più ampia possibile; questa promessa elettorale sembrerebbe essere un’esca per accaparrarsi parte del giovane elettorato, storicamente non proprio il più vicino al PD.

Il Movimento 5 Stelle ha proseguito la sua strada all’insegna del welfare più estremo, un assistenzialismo che, dopo il reddito di cittadinanza, vorrebbe evolversi in direzione dell’agoniato salario minimo, una proposta certamente nobile nell’intento, ma talmente complessa nella sua teorizzazione e nella sua applicazione economica: la sua attuazione richiederebbe una situazione economica diversa e un accordo fra Parlamento, Governo, sindacati e Confindustria, accordo che al momento non solo non c’è, ma non è mai stato minimamente intavolato.

 

 

Una campagna elettorale nel segno dell’austerità probabilmente non sarebbe comunque stata auspicabile: la pandemia ha lasciato cicatrici enormi sul nostro tessuto connettivo sociale ed economico, e sottolineare la gravità del momento promettendo limitazioni e aumento delle tasse forse non avrebbe contribuito a risollevare né le parti sociali, né tantomeno il comparto economico. Noi, come elettorato, in qualità di attori attivi della società, dovremmo però poter percepire l’impossibilità di alcuni voli pindarici elettorali.

In un momento del genere un popolo sano, informato correttamente, giustamente arrabbiato e intenzionato a cambiare passo forse dovrebbe indignarsi sentendo parlare di flat tax, non in quanto manovra economica di ultra liberismo capitalista, ma in virtù del fatto che in Italia il 20% dei percettori dei redditi più elevati detiene il 40 % del reddito complessivo.

 

 

In politica, come nel mondo dell’informazione, sarebbe il caso di “saper distinguere la luce delle stelle, da quella delle lampare”.

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