La campagna elettorale del Partito Democratico è uno specchio che sembra riflettere la crisi della sinistra italiana.
In questi giorni la campagna elettorale, per i vari partiti italiani, sta entrando nelle fasi più calde. L’estate sta finendo e la gente inizia a tornare nelle città, e insieme alla gente tornano nelle città anche i manifesti elettorali, i comizi e gli incontri con l’elettorato, che già da tempo occupavano la spazio digitale che ognuno di noi tutti i giorni porta in tasca.
Le linee guida di un partito e le promesse d’intervento più rappresentative vengono presentate, in maniera più o meno sintetica, in relazione allo spazio a disposizione, attraverso l’uso di uno di questi strumenti; si presume che dietro le strategie elettorali, soprattutto quelle volte ad indirizzare i toni e gli argomenti della campagna elettorale, ci sia uno studio mirato all’ottimizzazione del risultato politico, che in termini pratici si traduce nell’ottenimento di interesse e di fiducia di un elettore tramite l’utilizzo di una propaganda calibrata.
Da molti anni si parla di una crisi di valori all’interno dell’universo della sinistra italiana, probabilmente incapace di evolversi dalla sua forma novecentesca e di trasformarsi in una realtà politica in grado di difendere e rappresentare una nuova generazione di progressisti, calati in una dimensione sociale, lavorativa ed economica completamente diversa da quella del periodo storico in cui la sinistra italiana si è affermata e consolidata come movimento politico fra i più influenti nel panorama europeo.
Il partito più rappresentativo e politicamente più forte della sinistra italiana è ovviamente il Partito Democratico che rispecchia perfettamente il pantano ideologico nel quale è calata la sinistra italiana; il Partito Democratico ha avuto 8 segretari in meno di 20 anni; è perennemente contraddistinto da lotte intestine derivanti dal continuo cambiamento della corrente dominante e, viste le recenti alleanze che hanno portato alla formazione di due governi costruiti su intese molto larghe fra partiti storicamente divergenti, insicuro anche su chi effettivamente può essere considerato un partner politico o meno.
Il fulcro centrale attorno a cui ruota tutta la campagna è la volontà di far percepire all’elettore il potere e l’importanza che il suo voto avrà alle urne per impedire l’avvento di un governo di destra ultraconservatore; e infatti lo slogan principale che accompagna e sintetizza la campagna elettorale è proprio “scegli”. Probabilmente l’immediatezza e la suggestione sono stati due dei parametri guida più importanti per la creazione di questa pubblicità elettorale, una strategia funzionale visto il poco tempo a disposizione, ma le carenze ideologiche potrebbero sopraggiungere dopo averci riflettuto.
Una scelta politica dovrebbe essere la sintesi di esperienze, ideologie, progettualità future, cultura e interesse, e non un’antitesi che ci definisce rispetto a qualcos’altro; se è vero che parte della nostra individualità si definisce rispetto al riconoscimento dell’altro, è pur vero che questo riconoscimento avviene perché noi abbiamo una percezione di noi stessi, percezione che è frutto di esperienze e sensazioni che ci permettono di analizzare e quindi di riconoscere l’altro, il diverso.
Il Partito Democratico, ovvero la forza numericamente trainante della sinistra italiana, sembra aver ceduto alla tentazione populista, e la campagna elettorale lo dimostra: i discorsi di Salvini, Conte e Letta, per quanto il retroterra culturale dei tre sia sensibilmente diverso, sembrano assomigliarsi tutti nella loro costruzione, incentrata quasi del tutto sulla ricerca di un colpevole che giustifichi la presenza di una o più situazioni di criticità nel Paese, e sull’autoproclamazione come unici possessori e custodi delle soluzioni; il tutto, in molti casi, senza nemmeno spiegare le modalità di approdo a queste soluzioni, magari addentrandosi in discorsi più profondi sulle possibili ed effettive progettualità future, in grado di suscitare preziosi spunti di critica.
La scelta può essere, e probabilmente lo è sempre, soggetta ad un’inclinazione al non essere, ma se la diversità rispetto a qualcos’altro diventa il nostro principale criterio di scelta, e lo diventa sopratutto per un partito progressista, forse si rischia di non trovarsi nelle condizioni di saper scegliere quando si è gli unici in grado di farlo.