Il secondo attentato a Trump ribadisce come dal mondo politico USA sia sparito ogni ponte di dialogo; e l’Europa non è da meno.
La campagna per le elezioni presidenziali USA 2024 sono senza ombra di dubbio quelle più degradanti a cui sia capitato di assistere negli ultimi 150 anni. Da un lato troviamo uno schieramento capace di manipolare e sfruttare un anziano non nel pieno delle proprie facoltà pur di mantenere il potere e promuovere un’agenda ideologica lontana dalla realtà, strumentale nell’anestetizzare una popolazione che non deve vedere la sempre maggiore ingerenza dei mercati sulla vita politica occidentale; dall’altro un estremista che oggettivamente fomenta le masse, utilizzando parole forti, di pancia, fuori luogo, e che fanno leva sulle profondi insofferenze di chi vede il mondo tradizionale statunitense stravolto dalle follie dem-liberal.
La prima cosa che ci si chiede è come sia possibile che il mondo politico USA abbia completamente abdicato al suo ruolo prettamente etico, cedendo il passo alla completa irrazionalità ed illogicità, ma soprattutto alla violenza verbale che domina entrambe le parti e che fomenta le azioni più inconcepibili da parte di singoli e di gruppi organizzati. La risposta si può trovare leggendo quei fatti che vanno da Capitol Hill a questo doppio tentativo di assassinio, passando per la desolazione dei programmi dei due candidati (le alte ma prive di concretezza parole di solidarietà la Harris, un ritorno al passato più bigotto Trump): ossia che i due principali esponenti politici, così divisivi e insopportabili all’opposta fazione, sono lo specchio dei loro sostenitori (gli estremisti anti-ebrei e pro-immigrazione, le schiere LGBT e liberal da una parte; gli insofferenti, i redneck ed i nazionalisti dall’altra).
Insomma, quello che sembra di vedere è la morte di una posizione moderata e dialogante in grado di trovare non solo punti di intesa ma soprattutto di lavorare sugli aspetti più strategici della società statunitense: la criminalità in crescita, la disoccupazione in aumento, la perdita di potere internazionale.
A ben vedere, i problemi che affliggono oggi l’Europa sono gli stessi che affliggevano gli USA pochi anni fa; non a caso anche la politica europea vive oggi un dualismo spesso inconciliante tra le posizioni più radicali delle sinistre post-comuniste verdi ed ideologiche e quelle delle destre reazionarie e tradizionaliste, queste ultime additate come fasciste o intolleranti. In entrambe i casi (USA ed Europa), la colpa di aver estremizzato la politica, portandola da un dibattito ad un conflitto, è in larga parte ascrivibile ai movimenti progressisti, spesso incapaci di scendere a compromessi e stabilire una comunicazione con chi avesse posizioni diverse; il conseguente tentativo di sbarramento opposto e contrapposto, che sfocia in estremismi che raccolgono ampie fette di consensi (da Alternative Fur Deutschland al governo austriaco ed ungherese, passando per Marine Le Pen o certe affermazioni da parte degli esponenti delle forze di governo italiane) sono ovvie conseguenze.
Ma il punto non è di chi sia la colpa. Il problema è che una divisione interna così netta della popolazione, un’insanabile frattura capace solo di generare ulteriori attriti, è il preambolo alla fine del tessuto sociale (già minato dalla mancanza di regole e certezze) e di tensioni capaci di generare qualsiasi mostro. Il novecento europeo ha visto contrapporsi totalitarismi e terrorismi politici; a metà dell’ottocento gli USA hanno visto una guerra di secessione. Purtroppo i segnali odierni sembrano indicare un ritorno a quei climi; e questo per la felicità dei paesi emergenti, che facendo a meno delle lodevoli ma innegabili zavorre tipiche dei Paesi democratici (reciprocità internazionale, diritti umani e attenzione all’ambiente) stanno rapidamente conquistando il pianeta, sotto gli occhi della nostra classe politica troppo impegnata a guardarsi l’ombelico per tutelare un mondo occidentale in via di disgregazione.