Riesce l’ultima commedia di Aldo, Giovanni e Giacomo a far tornare il trio ai livelli del passato? I fan nostalgici lo sperano.
I tempi in cui i ragazzacci visti in Mai Dire Gol facevano impazzire di risate l’Italia sono lontani da molti lustri; ora questa commedia sancisce un nuovo record: il magico trio di Aldo, Giovanni e Giacomo riesce a scendere sotto il livello qualitativo de La Leggenda Di Al, John E Jack.
E pensare che sembrava una buona idea aver fatto trascorrere un paio d’anni dal lungometraggio precedente: a volte ricaricare le pile serve a tornare all’energia iniziale della propria arte. A volte… ma non in questo caso. Nonostante la regia sia sempre del fidato Massimo Venier (o forse anche per questo motivo), ogni singolo aspetto di questa pellicola è impalpabile e scarico.
La trama riprende, con distanze siderali, l’atmosfera da ansia organizzativa del film di culto Il Padre Della Sposa declinata però in una squallida storia di provincia dove due commercianti di divani, soci della stessa azienda, si ritrovano a dover sposare i rispettivi figli. Già questa è una premessa irritante nella sua inverosimiglianza; il presunto colpo di scena, poi, dovrebbe essere l’arrivo alle nozze dell’ex moglie di Giovanni che si porta appresso un improbabile e scoppiettante amante che è… Aldo. La sua irruenza da terrone scompiglierà la rigidità degli uomini del nord. Accidenti, che trovata incredibile e futuristica!
Quello che fa definitivamente sprofondare il film, però, sono proprio i tre protagonisti. Ognuno di loro inanella l’intero repertorio comico mostrato per vent’anni in tv con battute trite e ritrite e gestualità a dir poco impolverate. Giacomino fa le faccette di quello sperduto, impacciato ma in fondo anche bonaccione di Tre Uomini E Una Gamba. Giovanni è il vulcano di idee ed energie che parla ancora come Nico del Cagliari usando le mani esattamente come in Tel Chi El Telùn (che era del 1999!). Aldo è Rolando, né più né meno. Ogni artista ha una sua parabola creativa, ma raramente qualcuno si è cristallizzato così fermamente sul suo passato come i tre ex prodigi della Gialappa’s Band.
Non si ride mai, ma proprio mai, e quando ci si dovrebbe emozionare,resta difficile non scoppiare a piangere per la mediocrità dell’intreccio e dei dialoghi; il tutto sottolineato da una colonna sonora scolastica tipo arpeggio di chitarra sulle scene riflessive e pianoforte su quelle intense.
Al crollo di Aldo, Giovanni e Giacomo, si aggiungono due ciliegine sulla torta che sono marce. La canzone di Brunori Sas al centro del lungometraggio è un’insensata scopiazzatura del miglior Lucio Dalla ma (ovviamente) senza il suo talento vocale e senza la sua profondità. Non basta fare una lista di cose della vita comune che gli snob non sopportano per essere artisti, come non basta gorgheggiare in stato confusionale per essere ugole d’oro. Il cameo del cantante Francesco Renga, poi, è pura arte povera. In un solo fotogramma in cui, dall’ospedale, mostra il sasso che (con grandissima comicità) dovrebbe essere il calcolo renale espulso, riesce a evidenziare quell’inespressività che abbiamo imparato ad ritrovarci in tutti i suoi videoclip. Record dei record.
A questo punto, nel rispetto di una carriera che, dal 1994 all’inizio del nuovo millennio, ha scritto pagine importanti della comicità italiana, il “Grande Giorno” arriverà quando i tre appenderanno definitivamente al chiodo la voglia di girare insulse commedie lasciando spazio e budget ad altri più meritevoli colleghi. Continuando su questa discesa ripida, il rischio è di finire come il povero Rezonico… possiamo rimanere offesi.