Quando avere una sella o un sedile fa poca differenza, perché vinci comunque.
Questa settimana ci dedichiamo ad una leggenda del motorsport, perché dire delle due ruote sarebbe veramente riduttivo parlando di un uomo che ha affrontato il mondo dei motori a 360°.
Sto parlando di John Surtees, che nasce in Inghilterra a Tatsfield l’11 febbraio del 1934 e come per altri piloti di quegli anni non vi sono notizie certe sulle prime esperienze con le due ruote; di sicuro sappiamo che ereditò la passione dal padre Jack che aveva una concessionaria di moto e che lo vide come pilota vincitore anche della South Eastern center sidecar, categoria difficile e pericolosa particolarmente amata in Inghilterra.
La sua prima partecipazione ufficiale risale al 1952 nel gran premio dell’Ulster con una Norton 500 con la quale consegue un sesto posto, ma dal 1955 partecipa al campionato 350 e 250 e proprio in quest’ultimo ottiene il suo primo successo con una NSU sempre sul circuito dell’Ulster. Dall’anno successivo diventa pilota ufficiale MV con la quale scrive la sua importantissima storia nell’albo d’oro del motomondiale. Anche qui diventa complesso citare gli avvenimenti anno per anno – per la già citata carenza di resoconti delle gare di quel periodo – ma di sicuro sappiamo che stabilì numerosi record: vince all’esordio nella 500; in totale tra il 1956 ed il 1960 vince ben 7 titoli di cui 4 nella 500 ed i restanti nella categoria minore; nel ’59 domina in assoluto tutte le gare delle due categorie annoverando inoltre il primato di 3 titoli consecutivi nella classe regina.
Ma la straordinarietà di questo asso dei motori non è determinata da questi risultati di per sé già incredibili, ma da quello di essere riuscito a lasciare un segno indelebile anche nel mondo della quattro ruote: sì, perché già nel 1960 col titolo in tasca da campione pressoché imbattuto lascia il motomondiale per la Formula 1; non sono opportunità che hanno in molti in questo mondo, ma lui di comune aveva veramente ben poco, tanto da meritarsi il soprannome di “figlio del vento”.
In quell’anno inizia con la Lotus per arrivare nel 1963 alla vettura più ambita per un pilota: la Scuderia Ferrari; sarà proprio con la Rossa di Maranello che nel 1964 arriva il titolo mondiale.
John non si ferma lì: ha 30 anni, è giovane anche se ha già vinto a quell’età ciò che normalmente raccolgono quattro o cinque piloti nell’arco dell’intera carriera. Corre fino al 1972 con NART, LOTUS, COOPER, BRM arrivando a fondare una sua scuderia per concludere questa esperienza, oltre al cavallino rampante che sarà l’unica con cui arriverà a scrivere il suo nome nella Hall of Fame della massima categoria automobilistica, correndo comunque la considerevole somma di 113 gran premi con le auto, da sommare ai 64 con le due ruote che lo porta al ragguardevole numero di 177 gare in 20 anni.
Il suo talento innato lo spinge a cimentarsi in tante categorie diverse: oltre a quelle finora menzionate ci sono anche i prototipi e le gt con cui arriva 3° alla 24 ore di Le Mans sempre con la Ferrari. Con quest’ultima ha sempre avuto un rapporto conflittuale, dovuto al suo rifiuto – non ritenendosi ancora pronto per il passaggio – al tentativo di Enzo Ferrari di ingaggiarlo nel 1960.
Non pago, corre anche in Formula 2 dal ’67 al ’72 disputando qualche gara e riuscendo anche qui a vincere almeno un gran premio; il suo nome l’ha inciso a fuoco anche nel campionato Can – Am vincendolo nel 1966.
Definito il Valentino Rossi di quegli anni del motomondiale, è riuscito là dove avversari del calibro di Mike Hailwood e Johnny Cecotto hanno fallito, i quali benché eccellenti piloti con le auto, non sono mai riusciti a vincere il titolo in Formula 1. Surtees corre sempre, vuole correre sempre, e per questo motivo lascia le moto dopo aver chiesto alla MV di poter correre anche in 250, sentendo di non aver ancora fatto il massimo, ma vedendo rifiutare la richiesta. Pensate che, benché impegnato già in due categorie nel motomondiale (350 e 500), nei fine settimana liberi che non coincidevano correva già in F1 con la Lotus, confrontandosi con avversari del calibro di Graham Hill e Jim Clark.
Ritenuto a ragione un vero gentleman dei circuiti, amava prima della gare prepararsi il suo tè nero bollente rigorosamente senza zucchero ma col suo bricchetto di latte, tipica usanza inglese; lo beveva nel box con la sua prima moglie Patricia parlando del più e del meno, come se la battaglia da affrontare in pista poco dopo fosse cosa che non lo riguardava. In quei momenti neanche il Conte Agusta usava disturbare l’asso inglese.
Di lui Enzo Ferrari disse nel suo libro Piloti Che Gente: “Di John mi piaceva la tecnica, la passione, lo spirito che in parti uguali e senza risparmio profondeva nella battaglia della competizione. Mi piaceva la sua serietà: studiava la corsa e si preparava con coscienza e impegno: attento a ogni particolare, meticoloso, osservava gli avversari, le macchine, le caratteristiche della pista, sempre alla ricerca del particolare da sfruttare, del dettaglio da risolvere a proprio vantaggio. E così era anche nei confronti della sua macchina: non era mai contento perché sapeva che in meccanica c’è sempre “qualcosa d’altro” che si può scovare, in barba alla logica o al calcolo più esatto. In corsa viveva la competizione minuto per minuto. Era un combattente generoso e non si risparmiava mai”.
John ha amato le donne quanto i motori, sposandosi tre volte ed avendo dalla sua ultima moglie tre figli, Leonora, Edwina ed Henry, unico figlio maschio prematuramente scomparso nel 2009 a soli 18 anni in una gara di Formula 2 a Brands Hatch.
Il re del motosport, l’uomo dal sorriso gentile, colui che è stato capace di arrivare dove tutti gli altri hanno fallito è morto a 83 anni e riposa accanto al figlio nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo nel Surrey.
Alla prossima leggenda e restate sintonizzati sulla Tana!!!