Il piccolo gigante delle due ruote, il pilota gentiluomo.
Molte sono le nazioni che, attraverso i loro piloti hanno scritto il proprio nome nella Hall of Fame del motomondiale; tra queste non manca senz’altro la Spagna con diversi talenti che seppur abbiano vinto uno o più titoli iridati, a modo loro hanno lasciato un’impronta indelebile in quell’albo d’oro soprattutto per la loro personalità.
Daniel Pedrosa nasce a Sabadel il 29 settembre 1985 ed inizia ad andare in moto molto presto, per la precisione all’età di 4 anni con la Italjet 50 da cross regalata dal padre; nel 1997 l’esordio con le minimoto. Siamo agli inizi degli anni ’90 e queste piccolissime belve a due tempi vanno di gran moda: sono un vivaio formidabile per i ragazzini proprio perché, per la misura ridotta, sono perfette per i fisici minuti di quell’età; ma sono pur sempre delle vere repliche di moto da corsa, con cui correre spesso portandole nel cofano della macchina.
Dani è veramente bravo tanto che nel 1998 a soli 13 anni è già molto competitivo e l’anno successivo è vice campione nazionale, in una categoria nella sua Spagna dove gli avversari di qualità sono decine; nel 1999 diventa già un pilota in orbita Honda che lo vede brillare nel suo monomarca vincendo nel 2000. Grazie a questa vittoria Honda gli offre poi la sella per il mondiale classe 125: è il grande salto, dove il catalano deve dimostrare che il suo talento non è legato al diametro delle ruote.
Ma Dani va forte anche qui, è pulito, è scorrevole, pesa poco ed è veramente minuto – in più è abituato a stare vicino agli altri, in bagarre – e tutti questi elementi sono perfetti per una moto piccola e leggera con una potenza che ancora non ti lancia così facilmente in aria. Chiude il campionato in ottava posizione, con ben due podi, portandosi a casa il titolo di rookie of the year. Dani è timido, un po’ introverso, anche se sempre gentile e coi piedi a terra, ma quando sale in sella si trasforma: deciso e determinato ma mai scorretto, quando ha il manubrio tra le mani a farsi da parte non ci sta proprio. Nel 2002 Daniel è in formissima, la confidenza con la sua Honda è cresciuta molto e ha adattato ancor meglio il suo stile di guida ad una moto che ha 4 o 5 volte la potenza di quei piccoli mostri con cui ha esordito: tre vittorie, tre secondi posti e tre terzi gli valgono “solo” il terzo posto in classifica generale, dietro a Manuel Poggiali e Arnaud Vincent che si laurea campione del mondo; sembra incredibile ma nonostante gli eccellenti risultati il mondiale non è suo, dicendola lunga sulla competitività della categoria.
Nel 2003 nonostante il brutto incidente in Australia, in cui si rompe entrambe le caviglie e che gli impedisce di correre gli ultimi due gran premi, Pedrosa vince 5 gare, un secondo posto e 3 pole ed il mondiale è finalmente suo: il ragazzino timido si mette dietro Alex De Angelis, Andrea Dovizioso, Pablo Nieto, Jorge Lorenzo, Marco Simoncelli, non proprio gli ultimi della classe insomma. Nel 2004 passa alla quarto di litro. Le aspettative sono molte e Daniel è intenzionato a non deludere chi crede in lui: con la bellezza di 7 vittorie, 5 secondi posti, un terzo e quattro pole Dani si laurea campione del mondo all’esordio in 250, vince il titolo già alla penultima gara chiudendo la classifica generale con la spaventosa cifra di 317 punti.
È il più giovane pilota a conseguire due titoli consecutivi in due diverse classi, stabilendo un record ancora imbattuto a cui aggiungerà anche quello di vincere alla gara di esordio: insomma Pedrosa c’è, è l’uomo da battere e la Honda, che ha creduto in lui, vede ripagata la sua fiducia con ben due titoli, piloti e costruttori.
L’anno successivo viene tentato dal passaggio nella classe regina, ma fa la cosa più giusta nel restare in 250 e ancora una volta è un rullo compressore: con 8 vittorie e 309 punti in classifica generale lo spagnolo è di nuovo campione del mondo con addirittura 3 gare di anticipo. Adesso sì che può lasciare la 250 per la classe regina, adesso è pronto al grande salto e, nonostante più di una casa lo tenti, lui resta in HRC, fedele alla Honda con cui correrà per il resto della sua carriera.
Ma se il fisico minuto e leggero era un vantaggio con le categorie minori ora diventa un limite in MotoGP; comunque Dani non sfigura affatto vincendo due gare e concludendo il campionato 2006 con un onorevolissimo quinto posto.
Nel 2007 non si può certo dire che il catalano non vada bene, vince due gare ed è spesso sul podio, ma nulla può contro il mattatore della stagione, un Casey Stoner capace di domare quella belva della Ducati Desmosedici che fino a quel momento, seppur guidata bene da un validissimo Capirossi, non ha raccolto granchè. La differenza punti a fine campionato è importante, ma Daniel è comunque secondo davanti a Valentino Rossi che non è certo tipo da rendere la vita facile a nessuno.
Pedrosa è sempre più vicino al titolo, ma non è poi così fortunato perché in quegli anni, nel pieno della sua carriera, ha avversari terribili come appunto Stoner, Rossi, Lorenzo, Dovizioso, Hayden. Nel 2008 non riusce ad andare oltre il terzo posto, e così sarà anche l’anno successivo con davanti a sé i soliti noti. Daniel è bravo, ma sembra mancargli la zampata finale e, soprattutto nel corpo a corpo, la sgomitata proprio non riesce a darla, anche se si sa che per essere vincenti bisogna essere un po’ cannibali ed egoisti. E poi con la classe regina è più facile l’errore e lui, che non è certo un gigante, spesso quando cade si fa male. Ma lo spagnolo non demorde e nel 2010 è secondo, nel 2011 quarto, nel 2012 di nuovo secondo, nel 2013 terzo, nel 2014 e 2015 di nuovo quarto. Daniel è un talento vero, lo ha già dimostrato, ma allora perché non riesce a portarsi a casa almeno un titolo mondiale nella MotoGP?
La chiave di questa mancata realizzazione nella classe maggiore è dovuta proprio agli infortuni seri e numerosi che hanno afflitto il fantino spagnolo, sì perché il suo è proprio un fisico da fantino: 1,58m per 55kg non sono certo le misure di un gladiatore. Quanto allo spirito, Dani ogni volta affronta operazioni, riabilitazione e preparazione fisica con l’animo di un samurai, piegato nel fisico ma mai domo.
Nel 2018 annuncia il suo ritiro dalle competizioni dopo 18 anni, 3 titoli mondiali e 295 gare disputate con ben 54 vittorie e 153 podi, annoverando tra i suoi record quello dolce e amaro di 16 stagioni consecutive con almeno una vittoria. Dani ha raccolto in termini di meri risultati molto meno di quanto il suo talento gli avrebbe consentito, ma è l’amara legge dei numeri che gli nega la consacrazione ufficiale togliendogli la soddisfazione di vincere in tutte le classi in cui ha corso.
Amato dal pubblico, stimato e rispettato da tutti per il suo carattere affabile e sempre misurato fuori dalla pista, tanto da essere soprannominato “Torero Camillo”, stoico professionista sempre correttissimo coi suoi compagni e poco propenso alla presenza sui social, ha sempre badato più al concreto contribuendo in maniera estremamente importante per anni alla vittoria dei titoli costruttori alla sua amata Honda. Daniel Pedrosa è dalla scorsa stagione collaudatore della KTM e, a giudicare dai progressi fatti proprio recentemente, c’è da giurare che stia facendo bene la sua parte, in silenzio senza troppo clamore come ha fatto in questi 20 anni di motomondiale.