Freddie Spencer: l’asso della Louisiana, colui che ha rivoluzionato la guida nella classe regina.
Parte da Frederick Burdette “Freddie” Spencer la carrellata sui piloti storici della classe regina, le gloriose 500 due tempi. Quei piloti i quali, non solo per i titoli vinti, hanno lasciato un segno indelebile nella storia del motociclismo sportivo per stile di guida, per carattere e perché no anche per i successi ottenuti.
Non può essere certo solo una questione di risultati, altrimenti non si spiegherebbero fenomeni amati come Kevin Schwantz o Randy Mamola; questi assi delle due ruote hanno segnato un epoca, di certo non per gli angoli di piega ma perché le moto erano ruvide e indomabili. Piloti con il pelo sullo stomaco, in alcuni casi scarsi di complimenti e di parole visto che non c’erano addetti stampa e telemetristi da consultare; c’era la pista, la birra e gli amici.
Ma veniamo a lui: classe 1961 da Shreveport in Louisiana, già Campione Nazionale 250 nel 77 e nel 78, esordì nel 1980 a 19 anni direttamente in classe 500 come collaudatore Yamaha. Nell’81 passò alla Honda ritrovandosi sotto il sedere nientemeno che la NR500 a pistoni ovali, splendido esempio di tecnologia (forse la moto più innovativa mai realizzata) ma difficilissima e delicata. A quei tempi poi si partiva a spinta, e la NR era la prima moto a quattro tempi che si riusciva ad accendere… ma quando le due tempi erano già a fine rettilineo.
L’anno successivo la casa dell’ala dorata gli dà l’efficacissima NS500 a tre cilindri, e con quella lui vola, veloce nel giro secco e sempre insidioso in staccata. Spencer cambia il modo di guidare una 500, insegna a “spigolare” come si ama tanto chiamare oggi il modo di curvare, facendo meno strada e cercando di raddrizzare la moto più rapidamente possibile in uscita di curva.
Niente percorrenze tonde per lui, quelle vanno bene per le 250 agili e con meno cavalli, da fare scorrere sempre col motore che strilla; lui frena tardi, dentro deciso a centro curva per poi aprire tutto il gas prima degli altri. Certo, lo stile di adesso è comunque molto diverso per alcuni aspetti, ma la strada l’ha iniziata lui.
Chi lo conosce bene afferma che sia sempre serio e concentrato prima di ogni gara e anche dopo, quando scende dalla moto e non gli si trova una goccia di sudore a rigargli il viso; arriva a dire di avere una vista a rallentatore al punto di poter memorizzare i volti dei passeggeri di un treno vedendoselo sfrecciare davanti ad un passaggio a livello, salvo poi rendersi conto che la miopia che lo affliggeva non lo stava sicuramente aiutando.
In quell’anno con la NS vince il suo primo Gran Premio in Belgio sul circuito di Zolder, replica a San Marino piazzandosi terzo in campionato, categoria quella della 500 dove giravano talenti del calibro di Sheene, Roberts, Uncini, Lucchinelli, Crosby; nel 1983 si porta a casa sei successi, sette pole position e 144 punti, due in più del “marziano” Kenny Roberts (anche lui sei successi ma 142 punti) laureandosi campione del mondo.
Nella stagione successiva la Honda abbandona la tre cilindri per la V4, ma Spencer non si trova bene con una moto che lo costringe a correre con gli avambracci fasciati di amianto per il calore degli scarichi che corrono sotto il serbatoio; vince cinque gare, ma cade altrettante volte non riuscendo ad andare oltre il 4° posto finale. Ma l’incostanza durerà poco, nel 1985 si presenta al via in forma come non mai lanciandosi in una sfida compiuta da pochi e riuscita a nessun altro: correre e vincere sia il campionato in 250 che in 500. Nei primi nove GP salì sul gradino più alto del podio ben 12 volte, a Silverstone quando mancano ancora due gare gli è sufficiente un quarto posto per laurearsi Campione del Mondo con 127 punti; ma non finisce qui: la settimana successiva si presenta al penultimo appuntamento ad Anderstorp in Svezia, dove un terzo posto gli basterebbe per portarsi a casa anche l’altro titolo ma lui non ne vuole sapere e attacca, prendendosi la pole.
Parte male ma dopo due giri è già primo, e da lì inizia a volare rifilando quasi 23 secondi a Mr.Eddie Lawson seguito da Ron Haslam, Christian Sarron e Randy Mamola, che arriva ad oltre un minuto dal suo connazionale. Spencer lascia un segno indelebile nella storia: è lui l’unico pilota ad aver mai vinto i due titoli contemporaneamente. Ma accade qualcosa di strano: al GP conclusivo a Misano non si presenta, la spiegazione ufficiale è un pollice rotto in palestra; poi però a campionato finito viene aggiunto un Gran Premio, quello di Suzuka dove Freddie però cade facendosi seriamente male ad un ginocchio.
L’anno successivo sembra aprirsi sempre nel segno del Campione dove al GP di apertura in Spagna parte di nuovo dalla pole e sembra andare via quando al 15° giro misteriosamente rientra ai box senza apparente motivo: è solo l’inizio di una fine improvvisa quanto inaspettata, Spencer non riesce più a frenare per la sindrome del tunnel carpale, all’epoca ancora sconosciuta, che si va ad aggiungere ad altri problemi fisici e c’è da starne certi anche psicologici. Riproverà l’anno successivo, il 1987, ma chiuderà con soli quattro miseri punti.
Freddie, “The Fast”, il veloce come veniva chiamato, non è più lo stesso: si ritira dalle competizioni provando a tornare nel 1989 e nel 1993 con la Yamaha grazie all’aiuto di Giacomo Agostini ma con risultati deludenti. Passa successivamente al Campionato Americano Superbike correndo sia con la Honda che con la Ducati ma senza avere maggior fortuna.
Oggi si diverte in gare di accelerazione, è proprietario di una scuola di guida nonché ricopre l’importante ruolo di Presidente del FIM Steward Panel, la commissione che si occupa di valutare e sanzionare il comportamento dei piloti in pista. I suoi problemi di tendinite e di vista oggi non avrebbero rappresentato un ostacolo insormontabile e forse la sua carriera sarebbe durata più a lungo; resta un mito un po’ avvolto dal mistero che ha segnato una svolta nel motociclismo sportivo moderno.
La prossima settimana: Randy Mamola!