Il PD dalla padella alla Schlein

Il partito figlio di mille idee diverse ed incompatibili vira verso l’ala più intransigente ed ideologica. Per la gioia della destra al governo.

 

 

In politica, come nella vita, bisognerebbe essere sempre pronti a stupirsi; l’essere umano è ingegnoso e trova sempre nuovi modi per produrre risultati inaspettati. La sinistra italiana in questo è maestra, riuscendo sistematicamente a sabotare le sue possibilità di vincere le elezioni (che poi al governo ci arrivi attraverso forzature istituzionali e ribaltoni post-elettorali è un’altra questione).

La consegna della Segreteria di partito nelle mani di Elly Schelin evidenzia una serie di punti che mostrano una volta di più le tantissime contraddizioni insolvibili della sinistra. La prima è che le tanto decantate primarie del PD sono uno strumento tutt’altro che perfetto, alla faccia di quel che i dirigenti di partito possano affermare. Permettendo a chiunque, e non solo agli iscritti, di scegliere il candidato di riferimento, non solo è altamente possibile che si ottenga un risultato incongruo con gli sforzi programmatici del partito, ma addirittura che si abbia un esito pilotato; possiamo ricordare le lunghe file di zingari che curiosamente caratterizzarono le primarie per la scelta del candidato PD per le comunali di Roma del 2014 (per la cronaca, le vinse Ignazio Marino, defenestrato dai suoi stessi compagni d’arme poco più di due anni dopo l’insediamento) o di cinesi a Milano (dove vinse Sala). Stranamente, di zingari e cinesi tra le fila degli attivisti del PD a oggi non ve ne è praticamente traccia.

 

 

Sono scelte: quella della libera apertura, dell’inclusione e di tutti questi concetti dei quali il PD si fa portavoce; ipocritamente, però, come spesso accade da quelle parti. Le conseguenze infatti non le vuole accettare nessuno. Fioroni, fondatore del PD, è già uscito, e la Serracchiani potrebbe dimettersi a breve. C’è da capire come tutta l’ala più moderata (e più di palazzo) potrebbe convivere con gli estremisti dell’ambiente e dell’inclusività, animati di tanti buoni ideali ma che non hanno alcun punto di contatto con la realtà.
È altamente probabile che i dirigenti e gli elettori che fanno riferimento all’ambito più moderato del PD confluiranno nel partito di Renzi e Calenda; o magari vedremo formarsi l’ennesimo partitino di sinistra a testimoniare la costante della frammentazione, dell’incomunicabilità e litigiosità che da sempre pervadono il mondo della sinistra.

Nel PD rimarranno probabilmente solo i gruppi più dannosi al dialogo politico trasversale, a partire dal vuoto pneumatico delle sardine, cresciuti a soldi di papà e canne, e che sono i veri artefici del successo della Schlein; i radical chic, habituè dei salotti bene e degli altissimi discorsi privi di contatti col terreno; le femministe becere alla Boldrini; quelli che gridano al fascismo ogni volta che qualcuno è in disaccordo. E ovviamente, il bacino di voti degli immigrati arrivati come clandestini e ai quali è stata immeritatamente regalata la cittadinanza.
Ambientalismo, “e” rovesciate, abbattimento delle frontiere, appiattimento sociale: saranno questi gli obiettivi che la Schlein metterà al centro delle iniziative politiche nel nuovo PD; a partire da quella proposta di patrimoniale, già preannunciata da Letta prima delle elezioni, che vorrebbe per l’ennesima volta punire chi ha più denaro. Come fosse una colpa possedere una casa o essere bravi imprenditori e creare posti di lavoro.

In tutto questo la destra può dormire sogni tranquilli: nel panorama attuale la sinistra non sarà mai un vera minaccia, spezzettata ed incompatibile fra le sue componenti; oltre ad essere minoranza nel paese, la sinistra non è nemmeno capace di scendere a patti con se stessa per un obiettivo comune. Alla destra basterà neutralizzare una volta per tutti Silvio Berlusconi, personaggio storicamente controverso e quinta colonna di Putin in Italia. Alla nuova dirigenza di Forza Italia l’arduo compito di mettere in pensione il deus ex machina del partito; dovesse riuscirci, aspettiamoci almeno dieci anni di stabilità governativa.

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