Kippur: la recensione

Quando dopo un’ora di visione di un film sul tuo portatile metti il player in sottofondo, e mentre con un orecchio ascolti e col resto del corpo fai altre cose, non e’ propriamente un buon segno. E siccome e’ gia’ passata un’ora, sai che purtroppo le cose non miglioreranno.

 

20130711 kippur02

 

 

Kippur e’ ambientato nella guerra israelo-siro-egiziana del 1973, detta guerra del Kippur perche’ scatenata a sorpresa dai paesi arabi nel giorno della festivita’ ebraica (una delle tante: gia’ non ci capisco una mazza di quelle cristiane, figuriamoci delle altre). Gli attaccanti inizialmente sbaragliarono l’impreparato esercito israeliano che pero’ seppe reagire, e dopo un alcuni giorni di battaglia, durante i quali l’annientamento dello stato di Israele sembrava inevitabile, i difensori contrattaccarono ricacciando gli assalitori ben oltre i loro confini, ottenendo una vittoria come poche se ne ricordano nella storia.

E ora, il film. Un mattone che inizia con cinque minuti buoni di un finto accoppiamento su un letto imbrattato di vernice multicolore, che immagino, credo, anzi spero stesse a significare la vita, la gioia, e tutte quelle cose la’ che non si sa perche’ ma i registi alternativi riportano su schermo sempre con due che scopano nelle situazioni piu’ improbabili. Insomma, cinque minuti di questa roba e l’aspettativa di vedersi un bel film di guerra potente come piace a me e’ gia’ finita nella spazzatura. E peraltro le tette della tizia di vedono appena, dannazione.

 

20130711 kippur01

 

Poi suona l’allarme, il tizio salta giu’ dal letto e si mette a correre (completamente vestito e pulito) nelle strade deserte di una cittadina con tutte le serrande di case e negozi tirate giu’. Corre corre corre corre corre corre, e va dove? A prendere la macchina; perche’ ovviamente tu ti trombi la tua donna e parcheggi a due chilometri di distanza. Normalissimo. Vabbe’; prende sta macchina e raccatta un amico gia’ in divisa che parte con lui verso l’unita’ della riserva di appartenenza; finalmente, dopo dieci-minuti-dieci arriva la prima parola detta da qualcuno (cioe’, rendetevi conto) e i due si ritrovano su strade intasate nel nord di Israele con gente ferma a bordo strada a dire “ma dove andate, non si passa”, e invece loro passano come se nulla fosse. Viva la coerenza. A un certo punto arrivano sulla linea del fronte, dove altri soldati scappano perche’ “stanno arrivando i siriani” ma loro vogliono passare lo stesso perche’ la loro unita’ e’ dall’altra parte, e sono costretti a invertire la marcia solo sotto costrizione armata (tutti noi vorremmo affrontare l’esercito siriano a bordo della nostra Fiat 124, giusto?). Poi arrivano in una base, pero’ decidono che la’ non ci vogliono stare e se ne vanno (ovvio, no?). insomma alla fine finiscono in un reparto di elicotteri di soccorso, e loro passano il resto del film (un’ora e mezza) a trasportare feriti avanti e indietro verso gli ospedali.

 

20130711 kippur03

 

Se pensate che sia stato molto critico, forse troppo, non avete ancora sentito tutto.
Raramente ho visto un film cosi’ privo di ritmo e di pathos; le cose non sono scontate, ma piu’ perche’ non ci sono proprio cose da dare per scontate. Ok la routine drammatica della guerra, ma cazzo allora Mash doveva essere la corazzata Potemkin dei film di guerra moderna.
Gli attori recitano come tizi presi sul pianerottolo di casa vostra (c’e’ spazio anche per la signora Irma, quella del primo piano che da’ da mangiare ai gatti randagi, giuro) e hanno profondita’ zero. Le scelte che fanno sembrano quelle che gli attori destinati alla morte fanno nei film horror di serie C americani.
Non c’e’ una scena (UNA) dove ci sia della fanteria in movimento. Solo camion, jeep e tanti carri armati che si muovono a casaccio lungo strade e campagne. Si si, proprio a casaccio: un po’ vanno avanti, un po’ vanno indietro. Figata.

Che poi Amos Gitai (l’ho detto che e’ il regista? Beh, e’ il regista) alcune cose da dire le avrebbe pure: i pugni allo stomaco di vedere i propri compagni morti, la difficolta’ di trasportare feriti aperti a meta’ tutto il giorno, la solitudine, il distacco dalla realta’. Il problema e’ che lo fa con la stessa maestria che potrebbe essere messa in campo da una banda di sedicenni armati di telefonino e che hanno visto solo Jurassic Park e Indipendence Day. E senza gli effetti speciali.

Quello che ho veramente apprezzato sono i lunghi piani sequenza dall’interno dell’elicottero: inquadrature atipiche che colgono di sorpresa e mi sono veramente piaciute – specialmente quelle in volo. Pero’ per il resto, mamma mia.

Ultimamente mi capita di recensire solo cagate spaziali, percui non vorrei essere troppo duro con questo film. Pero’ oh, proprio non ci riesco.

 

Kippur, 2000.
Voto: 4
Per condividere questo articolo: