Quando il conflitto nell’ex-Jugoslavia ebbe inizio, ero piccolino, avevo appena 16 anni. Mi ricordo che mi trovavo in vacanza ad Aosta, e i giornali riportavano a tutta pagina le foto di carri armati che irrompevano nelle citta’ sparando sulle case.
Ricordo anche, negli anni seguenti, di aver visto uno speciale di Carlo Romeo (un giornalista fin troppo di sinistra che pero’ aveva il pregio di andare sui posti dove si svolgevano i fatti) trasmesso da Teleroma 56 nella quale venivano mostrate immagini che ricordavano piu’ uno scontro fra bande, che fra due eserciti. E le parole di Carlo Romeo mi colpirono molto: “E’ una guerra nella quale si vede UN carro armato, UN aereo, UN cannone. E’ una guerra fra poveri“.
Piu’ di recente ho visto un reportage sui giornalisti nei territori di guerra, girato principalmente nell’ex-Jugoslavia. Anche questo era secco, anche se per motivi diversi.
Poi la guerra e’ finita (o quasi, visti i continui scontri di confine), e nei balcani il fuoco sembra sopito.
Lo scorso anno e’ uscito nelle sale un film molto particolare, che sebbene non abbia avuto un gran successo di pubblico in Italia, e’ degno di grande considerazione.
No Man’s Land significa, in inglese, terra di nessuno: cioe’ quel territorio che si trova fra i due schieramenti. E la terra di nessuno e’ la madre di questa storia: quando i superstiti di due pattuglie, l’una bosniaca e l’altra serba, si trovano in una trincea abbandonata fra le due linee nemiche, sotto il fuoco delle due parti, si mettono tacitamente d’accordo per salvarsi la pelle.
A questo punto entra in gioco il mondo occidentale: viene contattata l’UNPROFOR (i caschi blu, per intenderci); ma mentre i soldati europei vorrebbero intervenire, i loro superiori pensano solo a mantenersi neutrali, a… pararsi il culo, ecco. Fortuna vuole che la pattuglia francese intervenuta autonomamente incontra una troupe giornalistica inglese che scopre la verita’, costringendo l’ONU a intervenire.
La situazione tendera’ a degenerare, fino al momento finale nella quale la tensione e’ alle stelle.
La pellicola tecnicamente non e’ nulla di eccezionale: si vede benissimo che si tratta di un lavoro dell’est Europa, a basso budget e con poche pretese; eppure, come in tutti i film di spessore, questo non conta.
La storia e’ solida, estremamente interessante, e permette di capire alcuni aspetti nascosti di questa guerra che noi occidentali abbiamo bene o male snobbato.
La gestione dei caschi blu fa una vera figura di merda, e anche se alcuni passaggi sono parecchio forzati, nella globalita’ l’atteggiamento che puo’ tenere una organizzazione internazionale di quel tipo puo’ essere quella. Anche l’Europa, di per se, non ne esce alla grande; chi invece si salva sono i singoli, le persone. Tutto cio’ che e’ “struttura”, “organizzazione”, “media” viene duramente attaccato e criticato, e vengono contrapposte le figure di chi, da solo prova vanamente a ribaltare la situazione.
Anche i media, come dicevo, vengono colpiti, ma non cosi’ come potremmo immaginare all’inizio: in fondo e’ normale che uno spirito critico attento alle esagerazioni della stampa e della tv sia proprio di chi questi mezzi ha la fortuna di poterli osservare tutti i giorni senza censura.
No Man’s Land e’ un film molto duro, che lascia pensare, che provoca lo spettatore; non per questo e’ un film pesante. Per tutta la sua durata (poco piu’ di un ora e mezza) l’ironia che pervade la storia e’ costantemente gradevole: si ride; qualche volta di gusto, qualche volta a mezza bocca, ma comunque le situazioni sempre paradossali permettono allo spettatore di rilassarsi e allo stesso tempo di contrapporre il riso alla tragedia.
Mi sento di consigliare questo film a chiunque voglia pensare, voglia riflettere su quello che e’ una guerra civile, perche’ di questo parla il film: una guerra tra consangunei, tra fratelli messi contro senza un valido motivo. E’ un film che vale molto.