Un caso reale irrisolto per sedici anni diventa una serie svedese fedele ai fatti, ma che si dimentica del tutto di coinvolgere lo spettatore.
La Prova è una serie che si ispira a un duplice omicidio avvenuto nel 2004 in Svezia, rimasto a lungo irrisolto e finalmente chiarito solo sedici anni dopo, anche grazie all’impiego della genealogia forense. Il racconto si snoda tra indagini, interrogatori, intuizioni e lunghi momenti di stallo, concentrandosi in particolare sulla figura del detective John, interpretato da Peter Eggers, determinato a non arrendersi e deciso a trovare un filo conduttore tra i pochi indizi disponibili.
Come spesso accade nelle produzioni scandinave, anche La Prova si caratterizza per un ritmo narrativo estremamente lento, quasi soporifero. La serie procede in modo pacato, senza scosse, senza veri momenti di tensione o emozione. Ed è qui che si apre una riflessione inevitabile: era davvero necessario trasformare questa vicenda in una serie tv? Se da un lato la fedeltà agli eventi è apprezzabile e dona una certa coerenza d’insieme, dall’altro lato manca del tutto quell’elemento in grado di coinvolgere davvero lo spettatore. Non ci si emoziona, non si empatizza con i personaggi, non si riflette a fondo su ciò che viene raccontato. La sensazione è che tutto scorra senza lasciare traccia.
Il personaggio di John, l’investigatore che segue il caso, è probabilmente l’unico che esprime un minimo di carattere, ma anche in questo caso l’efficacia è limitata. La narrazione lo segue nei suoi spostamenti, nei confronti con i colleghi, nelle sue deduzioni, ma tutto resta a un livello superficiale, come se ci fosse una costante distanza tra il protagonista e lo spettatore. Attorno a lui si muovono comparse prive di profondità, figure che sfiorano la narrazione senza mai lasciarle un’impronta; nessun personaggio secondario riesce a emergere o a regalare un momento di vera umanità. A dominare, invece, è un’estetica rarefatta e grigia, fatta di paesaggi innevati, vedute distanti e luce crepuscolare; un’atmosfera che potrebbe anche risultare suggestiva se non fosse che si ripete in maniera ossessiva per tutti gli episodi, rendendo tutto ancora più statico.
Il vero spunto interessante sarebbe potuto essere l’introduzione della genealogia forense, una disciplina complessa, affascinante, ancora poco conosciuta; eppure, la serie non fa nulla per valorizzarla, limitandosi ad accenni sommari su DNA, parenti lontani e test genetici. Non c’è nessun tentativo reale di spiegare come funzioni questo tipo di indagine, nessun momento in cui il pubblico venga guidato a comprendere l’impatto rivoluzionario che questo metodo ha avuto sul caso. Di fatto, ciò che avrebbe potuto distinguere La Prova da tante altre serie investigative è trattato come un dettaglio marginale: un vero peccato, perché proprio lì si sarebbe potuto costruire qualcosa di diverso, più interessante, più utile anche in termini divulgativi.
Ci sono anche passaggi che, pur toccando temi potenzialmente interessanti, finiscono per restare sospesi, senza mai trovare un reale sviluppo. La minaccia di chiudere definitivamente il caso, la possibilità che l’uso della genetica forense non venga accettato come procedura valida all’interno della polizia, e persino il dubbio che queste prove possano non reggere in sede processuale: sono tutte questioni importanti, ma la serie si limita ad accennarle usandole come riempitivo della trama. Tutti questi spunti rimangono lì, a decantare nell’atmosfera rarefatta della cittadina svedese, senza ricevere un approfondimento o trovare una degna conclusione: un’altra occasione persa per rendere la storia più densa e coinvolgente.
E poi c’è il finale: una chiusura fiacca, priva di tensione, con l’interrogatorio conclusivo che si rivela banale e senza pathos. Se è vero che si è scelto di rimanere fedeli alla realtà dei fatti, ci si sarebbe potuti concedere almeno un minimo di licenza narrativa per rendere la conclusione più avvincente, visto che La Prova nasce come serie TV. Dopo quattro episodi in cui si attende una svolta, l’epilogo lascia un senso di vuoto e insoddisfazione difficile da ignorare.
La Prova è, in sintesi, una serie sulla genealogia forense che non spiega la genealogia forense; è un racconto di sedici anni di indagini ridotto a una parete piena di scaffali ed una narrazione piatta e priva di mordente. Il protagonista non coinvolge, i comprimari sono anonimi e l’impianto visivo non aiuta. Forse, più che una serie, sarebbe stato meglio realizzare un documentario: più istruttivo, più diretto, e paradossalmente anche più emozionante. Almeno avrebbe avuto l’onestà di raccontare un fatto senza fingere di trasformarlo in un racconto.