La settimana corta: tra diritti e possibilità

Si sta discutendo in diversi ambiti della possibilità di portare la settimana lavorativa a quattro giorni; l’Italia sarà pronta a questa rivoluzione?

 

 

Sull’onda della proposta fatta ai sindacati dal gruppo Intesa Sanpaolo e sulla scorta delle tante sperimentazioni in corso all’estero, si sta dibattendo sull’opportunità o meno di estendere l’implementazione della settimana lavorativa ridotta a vari settori lavorativi italiani. In Belgio la settimana corta è stata inserita tra i diritti dei lavoratori; in Inghilterra è operativo un progetto molto esteso (70 aziende importanti) che prevede che l’orario di lavoro settimanale venga spalmato su quattro giorni.

In Italia già da molto tempo la scuola si sta uniformando ai 5 giorni di lavoro, rispondendo agli inviti che giungono anche dal mondo economico e della politica territoriale. In questo contesto, la Regione Lazio ha richiesto alle istituzioni scolastiche di stilare un calendario che sfrutti tutte le possibilità di fare “ponte” vicino alle festività, al fine di incrementare il turismo e la circolazione all’interno della regione per svago e divertimento.
Una nazione come la nostra dovrebbe pensare seriamente a valorizzare il proprio territorio concedendo tempo e opportunità di turismo per tutti: la domenica tornerebbe ad essere un vero giorno di pausa e riflessione; il sabato resterebbe il giorno dello svago, il venerdì si aprirebbe a tante proposte culturali.

 

 

La settimana corta può diventare quindi ultracorta con quattro giorni e 36 ore di lavoro.
È altamente probabile però che la società italiana non sia ancora pronta a recepire un’organizzazione del lavoro rivoluzionata e tesa a concentrare su meno giorni gli impegni produttivi: ancora troppe istituzioni private e pubbliche sfruttano anche il sabato, determinando una situazione a macchia di leopardo che non consente di omogeneizzare in maniera efficace i servizi offerti al pubblico.

Per quanto riguarda la scuola, in quattro giorni di lavoro probabilmente si aumenterebbero l’intensità e la qualità dello studio: i ragazzi sarebbero più concentrati e finalmente avrebbero dei giorni per i propri interessi personali.

 

 

La sperimentazione inglese, fatta in collaborazione con le Università di Oxford e Cambridge, punta alla soddisfazione dei lavoratori e ad un rendimento del 100% a fronte di un impegno dell’80%. Anche in Italia qualcuno si sta muovendo; rimane il nodo però di chi è costretto a lavorare su turni che occupano anche il weekend. Coloro che sono costretti a lavorare durante il weekend dovrebbero avere a disposizione delle strutture alle quali i figli passono accedere a prezzi calmierati, magari per fare sport o essere impegnati in attività artistiche e culturali. Le stesse scuole potrebbero rispondere a questa esigenza, ma servirebbe una visione allargata e condivisa di come rendere migliore la vita dei lavoratori.

L’economia generale si troverebbe così a poter sfruttare al meglio la lunga pausa settimanale: molto tempo per lo svago, la famiglia, lo sport, il turismo; nuove opportunità di lavoro e nuove possibilità per giovani lavoratori. Pensiamo solo a quanti ragazzi potrebbero lavorare in strutture sportive ricreative che opererebbero principalmente durante il weekend.

 

 

Se accorciare la settimana lavorativa può portare così tanti vantaggi, chi è che contrasta la sua implementazione? Sicuramente chi ha interesse a concentrare nella domenica tutte le esigenze familiari, riempiendo i centri commerciali e gli stadi. Anche il settore commerciale resta legato a vecchie tradizioni e vede con sospetto la prospettiva di assumere e regolarizzare i lavoratori del fine settimana: in molti ambiti si preferisce ancora “spremere” chi già lavora, costringendo gli impiegati dei negozi a turni pesanti e destabilizzanti. Anche alcune famiglie sono fermamente contrarie, prese dal panico nel momento in cui dovessero gestire i figli per tre giorni senza la scuola; qui torna il discorso iniziale di una società che necessita di servizi adeguati a questa nuova esigenza.
I sindacati invece ancora non hanno preso una posizione specifica, ancorati a vecchie posizioni ormai risalenti agli anni ’70.

Un paese come il nostro ci metterà molto tempo a prepararsi, e per chi crede in questa trasformazione del lavoro ci sarà da combattere: siamo ancora in una fase di studio e molto dipenderà dall’esito delle sperimentazioni, dall’andamento economico e dalla programmazione politica. L’importante sarà premere sui futuri governi per imporre un miglioramento generale dei servizi e una visione più sostenibile del lavoro.

Lavorare meno è possibile, lavorare meglio un’esigenza, essere sereni un’opportunità.

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