Bubble: la recensione

Uno stupendo lavoro di animazione, prodotto da WIT Studio, che si appoggia su una trama talmente inesistente da essere recensito solo come un fantastico tecnicismo.

 

 

Uno stupendo anime senz’anima: questa è la migliore definizione per il lungometraggio Bubble. La storia prende ampiamente ispirazione dalla Sirenetta di Hans Christian Andersen, che è anche citata esplicitamente più volte, ma è ambientata in una Tokyo abilmente adattata per lo scopo: la capitale giapponese non è propriamente una Venezia sul mare e per questo la storia inizia con una strana concentrazione di bolle d’acqua che improvvisamente appaiono in cielo e fluttuano ad altezze differenti. L’anomala concentrazione di bolle avviene proprio a ridosso della torre di Tokyo costringendo le autorità a chiudere diversi quartieri limitrofi.

La gravità intorno alle bolle è alterata e quindi, oltre alle stesse bolle, ci sono diversi oggetti che fluttuano in aria liberamente. La storia non ha ancora nulla a che vedere con le sirene, ma si concentra sugli atleti che si sfidano su questi fantastici percorsi sospesi su un mare di acqua e bolle galleggianti. Dal giorno dell’invasione delle bolle infatti sono ormai passati alcuni anni e non è successo poi molto di rilevante se non le gare di Parkour.

 

 

La scelta di utilizzare questo sport che sta attraendo molto l’attenzione dei giovani in tutto il mondo è un’idea davvero valida che permette allo WIT Studio (produttore anche di Vampire In The Garden) di realizzare un’animazione fantastica con dei colori così belli e vividi che ricordano moltissimo lo stile del mitico Studio Ghibli. Per tutta la durata del lungometraggio la regia di Tetsurō Araki ci regala un grande movimento ed una fluidità nelle scene d’azione che raramente ho potuto ammirare in altri lavori contemporanei. È tutto molto chiaro, luminoso e lucente; cosa che è in netto contrasto con la tendenza contemporanea di far calare l’oscurità su quasi tutte le scene d’azione.

L’acqua è dove serve ed ora tocca introdurre l’elemento per eccellenza della storia di Hans Christian Andersen: uno dei ragazzi che fanno Parkour finisce in acqua e rischia di annegare, così una “bolla” lo salva prendendo momentaneamente la forma di una ragazza. Ecco che la magia delle fiabe occidentali entra nel contesto della narrazione giapponese, rivista e stravolta per essere utilizzata a piacimento in un mondo immaginario ed atipico. La stessa storia che nascerà tra i due ragazzi è incentrata principalmente su grandi silenzi e molta acrobazia fatta di salti, piroette e libertà di volare tra un edifico e l’altro.

 

 

Potrebbe sembrare poetico raccontare una storia d’amore fatta principalmente di sguardi e con pochissime parole di contorno; purtroppo questa scelta ha penalizzato in modo drammatico la caratterizzazione dei personaggi principali che sembrano non avere alcuna profondità emotiva. Per chi guarda Bubble, i due protagonisti sembrano cercare la felicità nello spazio aperto e nel vuoto intorno a loro facendo Parkour piuttosto che instaurando un rapporto emotivo tra loro. Esistono anche sequenze in cui i due provano a mostrare un minimo di coinvolgimento, ma sono così sciolte nella potenza delle scene di movimento acrobatico che risultano inefficaci.

Quindi Bubble cos’è? È sicuramente un lungometraggio con una stupenda componente grafica e una spettacolare fluidità d’animazione, accompagnato da una colonna sonora potente ed efficace, ma dal contenuto emotivo pari ad una gocciolina d’acqua; un gran peccato perché potenzialmente poteva essere un prodotto di altissimo livello. E forse lo è ancora, se lo consideriamo solo in chiave tecnica e non dando peso alcuno alla parte narrativa. Ve lo consiglio? Se siete esteti e amate le scene d’animazione fatte davvero bene, allora è assolutamente consigliato; se invece considerate la parte sentimentale e narrativa come vitale per questo genere di opere, allora lasciate perdere.

 

Bubble, 2022
Voto: 6
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