Momento cruciale per le Banche Centrali dopo le prime riunioni del 2023. Borse europee positive e disoccupazione in calo; resta il pugno duro contro l’inflazione.
Lo scorso 1° febbraio la Federal Reserve ha inaugurato la prima settimana di riunioni delle banche centrali del 2023, seguita dalla Banca Centrale Europea, il 2 febbraio, e dalla Banca di Inghilterra, il 3 febbraio.
Coerentemente con le attese di mercato, il rialzo effettivo dei tassi previsto dalla FED si è dimostrato inferiore rispetto a quello inizialmente dichiarato, a seguito di un recente rallentamento dei livelli di inflazione negli USA. L’incremento è stato di “soli” 25 punti base rispetto ai 50 previsti, approdando in un range di tasso compreso tra il 4,5% e il 4,75%; il più alto da ottobre 2007. Dopo quattro rialzi consecutivi dello 0,75% nel 2022, si tratta del secondo rallentamento di fila dopo quello dello scorso dicembre, con un aumento effettivo di 50 punti base rispetto a quello atteso di 75.
Siamo comunque di fronte all’ottavo incremento da parte della FED a partire dal 2022, tutti volti a ridurre l’inflazione galoppante che, ormai da un anno, ha travolto i mercati e che, nonostante i recenti segnali di rallentamento, è ancora vicina al livello più alto dall’inizio degli anni Ottanta.
In ottica europea, la BCE ha dichiarato un incremento dei tassi di interesse di 50 punti base a febbraio, preannunciando un possibile nuovo innalzamento di pari entità a marzo al fine di riportare il tasso di inflazione al livello target del 2%; e ciò nonostante il recente seppur lieve rallentamento, per il terzo mese consecutivo, del livello di inflazione nell’area euro. Diverso il discorso in Gran Bretagna, dove l’inflazione resta vicina ai massimi storici. Per questo motivo la Banca d’Inghilterra ha deciso di alzare i tassi d’interesse di 50 punti base, portandoli al 4%. Si tratta del decimo rialzo consecutivo dei tassi di interesse per la Bank of England, con il costo del denaro che raggiunge i livelli più alti dal 2008.
Tuttavia, le evidenze rese note dal Fondo Monetario Internazionale parlano di prospettive di crescita globale in miglioramento rispetto alle stime pubblicate lo scorso ottobre, seppur in calo se confrontate con quelle del 2022. I dati del FMI mostrano un PIL mondiale atteso pari al 2,9% nel 2023 e al 3,1% nel 2024, a fronte del 3,4% dell’anno precedente. L’inflazione globale dovrebbe invece scendere dall’8,8% del 2022 al 6,6% nel 2023, approdando al 4,3% nel 2024, restando comunque ancora al di sopra dei livelli pre-Covid, pari a circa il 3,5% medio nel biennio 2017-2019.
A tenere alta l’attenzione sono inoltre la situazione pandemica in Cina, che potrebbe frenare la ripresa economica a livello mondiale, i possibili risvolti della guerra Russia-Ucraina e una politica monetaria internazionale sempre più aggressiva che rischierebbe di aggravare le condizioni del debito pubblico in alcuni Paesi, incidendo sulla stabilità finanziaria di quelli maggiormente esposti. Pertanto, ai fini di una ripresa economica globale, potrebbe essere importante non solo accelerare le vaccinazioni contro il Covid-19 in Cina ma anche incrementare il sostegno fiscale a seguito dell’aumento dei prezzi dei beni alimentari e degli energetici dovuto al conflitto in Ucraina. In linea generale, le aspettative per il 2023 sono di incrementi via via decrescenti dei tassi di interesse che possano contenere l’inflazione consentendo, al contempo, un rilancio dell’economia globale. Tuttavia, a prescindere dagli specifici livelli di aumento dei tassi adottati dalle diverse banche centrali, è importante altresì capire quali saranno le linee di intervento comuni a livello mondiale da qui ai prossimi mesi, anche alla luce della recente riapertura dei mercati cinesi dopo le festività del Capodanno lunare.