Le sorti di Albania e Italia si intrecciano inesorabilmente a partire dagli anni ’20, culminando in una fulminea invasione da parte del Regio Esercito nella primavera del 1939.
I due popoli posti sulle opposte rive dell’Adriatico, quello italiano e quello albanese, condividono una millenaria storia fatta di scambi commerciali, reciproche influenze e contatti, ma anche di dominazione commerciale e politica. Emblematico è il rapporto di Durazzo e i suoi dintorni con la potente Repubblica di Venezia tra il 1200 e il 1400, che di fatto controlla i maggiori porti della sponda orientale del mare Adriatico almeno fino all’arrivo degli Ottomani nella regione balcanica.
La dominazione ottomana dei Balcani, protrattasi per quattro lunghissimi secoli, vacilla nei primi anni del ‘900 e l’Italia coglie l’opportunità di questo crescente vuoto politico per espandere la propria zona d’influenza. In particolare la conformazione della costa albanese e i suoi porti fanno gola al Regno d’Italia, come primo passo di un ben più ampio progetto di penetrazione nei Balcani. Nel 1912 sia l’Italia che la Gran Bretagna appoggiano e accelerano il processo di indipendenza dell’Albania, che finalmente riesce a staccarsi dall’Impero Ottomano; un primo conflitto italo-albanese si ha con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, quando gli italiani tentano di occupare una parte del Paese che si affacca sulle sponde opposte dell’Adriatico e sottrarla a un eventuale possesso degli austroungarici. La resistenza armata albanese riesce a dare filo da torcere ai militari italiani che si vedono costretti a ripiegare sulle sponde occidentali una volta conclusasi la Grande Guerra.
È l’ascesa di Mussolini e del fascismo a rinnovare l’interesse verso l’Albania, grazie alla retorica nazionalista, all’idea di Impero e ai retaggi storici che vedono quel territorio molto vicino al popolo, alla cultura e alla storia prima romana e poi italiana. Dalla metà degli anni ’20, gli interessi economici si fanno evidenti con la stipulazione del trattato di Tirana, il quale garantisce agli italiani il diritto all’estrazione mineraria nel piccolo paese. Il Re dell’Albania, Zog I, stipula ulteriori accordi che amplificano la presenza italiana sul proprio territorio, con tanto di istruttori e ufficiali italiani tra i ranghi albanesi, mentre sul lato commerciale e finanziario l’Albania si lega sempre più all’Italia.
L’inasprirsi delle generali condizioni diplomatiche europee degli anni ’30 ci fanno tuttavia assistere a un concreto raffreddamento dei rapporti tra i due paesi, tanto che Zog I, pur di non cedere alle sempre più incessanti pressioni italiane, stringe accordi con alcuni stati vicini (Grecia e Jugoslavia); la cosa porta Mussolini a minacciare un diretto intervento. A scatenare invece una concreta reazione è l’espansione della Germania ai danni della piccola Austria prima e della Cecoslovacchia poi; nel non voler “rimanere indietro”, Mussolini rapidamente punta sulla presa dell’Albania. Il 25 marzo del 1939, a Tirana arriva ufficialmente l’ultimatum italiano, tenuto segreto dagli stessi albanesi e da Zog I così da non spaventare la popolazione civile. Nei primi giorni del mese di aprile qualcosa trapela, e la voce si sparge tra i cittadini che indicono manifestazioni anti italiane nei centri urbani del paese. Quando poi gli aerei italiani sorvolano le città lanciando volantini che annunciano l’imminente intervento e richiedono la resa pacifica del paese, si genera il caos. I ministri del governo reale scappano, così come tanti militari di alto rango. L’Albania entra in una piena fase di destabilizzazione, con il Re Zog I che tuttavia parla alla nazione e annuncia resistenza all’invasione.
Il 7 aprile 1939, la flotta italiana guidata dalle imponenti navi da battaglia Giulio Cesare e Conte di Cavou” apre il fuoco sui maggiori porti albanesi, dando inizio all’invasione. Le forze terrestri, forti di circa ventimila uomini e comandate dal Generale Guzzoni, si concentrano sulla presa della capitale e delle città portuali. L’esercito reale albanese si disgrega rapidamente, non riuscendo nell’intento di attuare il piano strategico di ritirarsi verso l’interno montuoso e sicuramente più difendibile del paese (cosa che per esempio erano riusciti a fare i serbi nella Prima Guerra Mondiale).
Le forze italiane incontrano comunque la resistenza di reparti combattenti albanesi appartenenti a piccole unità militari o alla gendarmeria nazionale, alla quale si aggregano manipoli di volontari desiderosi di difendere la propria patria. L’avanzata tuttavia si dimostra fulminea: le città portuali cadono tutte il primo giorno, mentre per la capitale Tirana si deve aspettare la mattina del giorno seguente. Zog I si rifugia in Grecia insieme alla famiglia e parte del tesoro reale, e da lì girerà più e più nazioni in cerca di un comodo e sicuro rifugio. Il 12 aprile, a cinque giorni dall’inizio dell’invasione, la campagna si può già dire terminata, con il Parlamento albanese che di fatto vota e sancisce l’unione tra Italia e Albania offrendo a Vittorio Emanuele III la corona albanese. Quest’ultimo affida le sorti della nuova conquista a Francesco Jacomoni, già ambasciatore italiano a Tirana, col titolo di Governatore del Nuovo Protettorato Albanese.
In termini di perdite, le stime indicano pochi morti e feriti da entrambe le parti, ma l’esecuzione dell’invasione lascia a desiderare, facendo storcere il naso a moltissimi analisti sulla reale capacità italiana di condurre questo tipo di azioni militari contro un nemico preparato e numericamente significante. E mentre a Roma tutti si congratulano con Mussolini per il nuovo apporto territoriale all’Impero fascista, il mondo si appresta a precipitare in un rovinoso conflitto.