L’Ungheria nel primo dopoguerra: instabilità, comunismo e sconfitte

La minaccia rappresentata dall’Ungheria sovietica viene neutralizzata dall’esercito rumeno, con il consenso ma anche la diffidenza di Francia, Inghilterra e gli altri membri dell’Intesa.

 

 

Con la fine della Prima Guerra Mondiale, l’Impero Austro-Ungarico sperimenta una vera e propria implosione dovuta alle enormi spinte autonomistiche delle tante e differenti etnie presenti al suo interno. La sconfitta militare, insieme agli enormi problemi di carattere socioeconomico esacerbati dal lungo e dispendiosissimo conflitto, difatti accelerano un processo già avviato e probabilmente inarrestabile. La rivoluzione ungherese che porta al governo di Budapest il moderato Karoly, del 31 Ottobre 1918, e la successiva e immediata smobilitazione di tutte le truppe ungheresi presenti sul territorio nazionale, quasi a voler dimostrare la buona condotta del nuovo Stato, in realtà non fanno che indebolire ulteriormente la posizione di Budapest nello scacchiere internazionale e infuriare le ali estremiste della politica interna.

Infatti, nelle settimane successive, gli eserciti vincitori dell’Intesa avanzano nell’ex impero sulle linee di demarcazione provvisorie, in attesa di un disegno definitivo sancito dalle conferenze di pace. I serbi salgono da sud, mentre a nord i cecoslovacchi fanno sentire la loro presenza occupando importanti porzioni di territorio. Anche l’esercito rumeno avanza attraverso i passi dei Carpazi, riversandosi nei territori transilvani che dal 1° Dicembre 1918 si uniscono in maniera definitiva alla Vallachia e alla Moldavia per formare la Grande Romania interbellica. La conferenza di pace di Parigi conferisce alla Romania una nuova linea di demarcazione, permettendo alle truppe di avanzare fino alle principali città di Arad, Oradea e Satu Mare, ma non di occuparle. Il governo di Karoly, in evidente difficoltà e contrario ad accettare l’ennesima ritirata con conseguente perdita di territorio, soccombe il 21 marzo 1919 in seguito al colpo di Stato messo in atto da Bela Kun. È l’alba dell’Ungheria sovietica e di un biennio di instabilità politica e militare.

 

 

La nuova Ungheria di Kun si dimostra fin da subito contraria alle continue richieste dei vincitori, rifiutando nuove concessioni territoriali. Punta molto sul sostegno delle masse operaie delle grandi città, e sa che può sfruttare la perdita (e quindi il recupero) dei territori per rafforzarsi dall’interno. La situazione della Romania appare sempre più problematica a partire dal Marzo 1919, con i bolscevichi russi a est e i comunisti di Kun a ovest che si preparano a colpire. Senza aspettare le direttive degli alleati, l’esercito rumeno risponde alla mobilitazione e decide di attaccare verso l’interno dell’Ungheria raggiungendo, entro l’inizio di maggio, la sponda del Tibisco dopo aver occupato Debrecen. Kun, costretto questa volta ad accettare le linee di demarcazione imposte a Parigi, cerca di recuperare consenso e faccia attaccando le neonate forze cecoslovacche. Poche settimane dopo la sconfitta contro i rumeni, le divisioni ungheresi penetrano nei territori cecoslovacchi raggiungendo buoni risultati, riuscendo persino a creare uno stato sovietico fantoccio in Slovacchia. Quest’ultima azione diede vita a importanti contrasti tra le fazioni nazionaliste e quelle comuniste presenti all’interno dell’esercito ungherese. Le tensioni interne aumentano e Kun si tiene a galla solamente grazie alla presenza di nemici esterni sul territorio nazionale, più che alle proprie capacità politiche e militari.

I membri principali dell’Intesa cercano di mitigare la situazione precaria, imponendo a Kun di ritirarsi dalla Cecoslovacchia e alla Romania di ripiegare sulle linee concordate a Parigi. I sovietici ungheresi, minacciati espressamente di invasione da parte della Francia, ripiegano di 15-20 km a nord. I rumeni invece non vogliono proprio saperne di abbandonare le posizioni avanzate, il che manda su tutte le furie l’Intesa. La Romania è decisa ad eliminare la minaccia sovietica da Occidente, prima di far fronte eventualmente a quella ben più pericolosa ad est.

Lo scontro decisivo si fa inevitabile. Kun mobilita per l’ennesima volta le forze ungheresi, facendole avanzare verso le posizioni rumene. L’obiettivo è ricacciare le divisioni rumene verso la Transilvania e da lì coordinare un attacco con gli amici bolscevichi da nord-est. L’offensiva ungherese inizia a metà Luglio 1919, dopo tre giorni di bombardamenti delle posizioni rumene. Il 20 Luglio si tenta l’attraversamento del grande fiume in più parti, e la creazione di diverse teste di ponte. La maggior parte delle aree liberate vengono successivamente rioccupate dalle truppe rumene, e l’offensiva ungherese si esaurisce in breve tempo senza aver raggiunto nessuno degli obiettivi principali. I contrattacchi rumeni, infatti, riescono a ristabilire la situazione iniziale già al 25 Luglio. Entro la fine del mese i rumeni, rinforzatisi con divisioni provenienti dalla Bessarabia, tentano e riescono l’attraversamento del Tibisco, di fatto aprendo la strada per Budapest. Le forze ungheresi, indebolite dalla fallita offensiva e moralmente distrutte, si sfaldano in ritirata, non riuscendo a sbarrare la strada per la capitale alle forze nemiche. Il 3 Agosto 1919, reggimenti a cavallo rumeni fanno il loro ingresso nella capitale nemica. Kun abbandona tutto e tutti, fuggendo in Russia dopo aver attraversato il confine austriaco.

 

 

Il governo comunista cade e la minaccia sovietica è stata finalmente neutralizzata. L’Ungheria viene amministrata momentaneamente dall’odiato vicino rumeno, insieme a delegazioni dell’Intesa e al prezioso aiuto dell’Ammiraglio Horty che si prepara ad assumere il controllo del paese grazie alla sua milizia armata. Le truppe rumene abbandonano il territorio ungherese l’anno successivo. Con il 1920 e la presa di potere di Horty si apre un nuovo capitolo della storia ungherese.

Per condividere questo articolo: