Nonostante la tensione generata, la visita ufficiale a Taipei di un rappresentante statunitense è una mossa preventiva e probabilmente la prima iniziativa efficace dell’amministrazione Biden.
Taiwan è la spina nel fianco dell’oppressivo e totalitario regime comunista cinese, ma anche il simbolo dei danni ampiamente prevedibili che la politica della globalizzazione ha portato. La pratica forsennata di ricercare luoghi dove la forza lavoro costi il meno possibile ha portato il mondo occidentale a delocalizzare tutte le sue industrie ed a contare in modo quasi esclusivo su nazioni lontane (geograficamente e talvolta politicamente) per approvvigionarsi di beni strategici.
Taiwan è il principale produttore al mondo di microchip e la sua caduta in mani cinesi significherebbe che il mondo intero diventerebbe in modo decisivo schiavo della tecnologia posseduta dalla nuova superpotenza mondiale; qualcosa che ovviamente gli Stati Uniti non si possono permettere.
La storia recente di Taiwan (o Formosa, come era conosciuta nel ‘900) parte con la rivoluzione comunista in Cina nell’immediato secondo dopoguerra; gli sconfitti si trasformano in esuli e danno vita ad una Repubblica veramente democratica e che si lega fortemente agli USA, per i quali quell’isola a ridosso delle coste cinesi fornisce un punto d’appoggio strategico importantissimo. I formosani vedono come imprescindibile il supporto statunitense, unica barriera all’invasione cinese ed alla sottomissione ad un sistema di vita inaccettabile per chi non ha intenzione di rinunciare alle proprie libertà individuali e di pensiero.
Nel corso dei decenni la Cina ha rivendicato più volte il possesso di Taiwan, con quella politica denominata “una sola Cina” che vuole fagocitare la nazione indipendente riconosciuta solo da pochi Stati esteri (tra i quali però il Vaticano, riconoscimento da non mettere assolutamente in secondo piano per il suo valore politico). Altra vittima dell’espansionismo cinese è l’ormai dimenticata Hong Kong, i cui moti indipendentisti e pro-occidente che abbiamo visto nel 2019 sono stati repressi col pugno duro, complice il silenzio calato sulla vicenda, anche a causa dell’emergenza Covid, ma soprattutto per il tacito e colpevole assenso del mondo occidentale, debole moralmente, politicamente ed economicamente.
Se l’invasione russa in Ucraina ha insegnato qualcosa all’occidente, è che non si può sacrificare qualsiasi cosa sull’altare degli accordi economici che beneficiano pochi, semplicemente perché alla lunga quei pochi andranno a perdere tutti i vantaggi ottenuti. La difesa diretta di Taiwan, chiaramente annunciata da Nancy Pelosi, segna un cambio di passo importantissimo nello scacchiere asiatico della politica internazionale, e sancisce definitivamente quanto avevamo anticipato a febbraio: il mondo è nuovamente in piena Guerra Fredda, e gli scenari sono gli stessi di quarant’anni fa, est Europa, Africa e sud-est asiatico.